san Paolo

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D’improvviso lo avvolse una luce dal cielo (At 9,3)

lunedì 27 maggio 2013

Kerygma San Paolo 2008




Annunzio del kerygma 



di Kiko Arguello



Basilica di S. Paolo – 24 novembre 2008





La prima cosa che vorrei dirvi è che il Signore ci salva adesso!
Ci dà la salvezza, adesso!
Non c’è cosa più grande che annunziare il Vangelo, che annunziare la parola della salvezza: il kerygma. Per questo ho dovuto lasciare l’arte, non ho potuto sposarmi.
Guai a me se non annunziassi il Vangelo, la salvezza! Perché? Perché Dio ha voluto salvare il mondo attraverso la stoltezza della predicazione, del kerygma.

Perché l’annunzio del kerygma ci dà la salvezza? Come è possibile una cosa simile? Che cosa è il kerygma? E’ una buona notizia, una sorprendente notizia. Quando gli apostoli, che sono ebrei, stanno celebrando la Pentecoste, la festa che commemora il fatto che hanno ricevuto la Torah sul monte Sinai, all’improvviso scende dal cielo lo Spirito Santo e si posa su di loro, come fiamme di fuoco, scende dentro di loro.

Dice S. Paolo che lo Spirito Santo rende testimonianza al nostro spirito (cf Rm 8,16). Lo Spirito Santo scendendo su di loro dà loro una testimonianza, dice una cosa sorprendente, che un ebreo non avrebbe mai potuto pensare, perché è per loro come una bestemmia: che costui, che essi hanno ucciso, che è stato crocifisso su una croce, costui è il Signore, l’Adonai, è Dio. Un ebreo può pensare che Cristo sia il Messia, senza dubbio, ma che sia Dio, che questo crocefisso sia Dio…!
Ma questa è la notizia! Dio si è fatto uomo in Cristo!





E perché si è fatto uomo? Si è fatto uomo per morire per i nostri peccati. Ha offerto la sua morte per la nostra morte. Dice S. Paolo nell’Epistola ai Corinzi: “Caritas Christi urget nos! L’amore di Cristo ci spinge, ci urge". Perché? Dice che l’amore ci urge perché se Cristo è morto per tutti, ecco, tutti gli uomini sono morti. E perché sono morti? Continua S. Paolo: “Perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Cor 5,15).

Alla luce di questo testo, per S. Paolo, gli uomini sono come condannati a vivere per se stessi, a vivere tutto per se stessi. Dice un teologo ortodosso, Olivier Clement, che il peccato originale dentro di noi, nella nostra carne, ci obbliga ad offrire tutto a noi stessi. E’ sorprendente questo “vivere per noi stessi”. Ma tutti viviamo per noi stessi! Che significa? Tutti cercano di essere felici. …Studiano, vanno all’università, si sposano, lavorano per se stessi, cercando di essere felici.

Allora, com’è possibile che il vivere per sé sia una maledizione così grande che Cristo abbia dovuto morire per annullarla? La risposta la vediamo nei fatti di tutti i giorni: perché tante persone si suicidano anche se hanno tutto? Perché tanti giovani sono sempre più insoddisfatti anche se possono fare tutto? Io parlo con alcune pennellate rapide per preparare il kerygma per voi. Ho sentito che in Giappone quest’anno si sono suicidate 50.000 persone, e non dicono la quantità di giovani che si suicidano in tutta Europa. Ecco, noi sappiamo perché si suicidano. Una causa si trova qui, in ciò che dice S. Paolo.







Sono rimasto sorpreso una volta che ho sentito di un uomo a Palma di Maiorca che si era sposato tre volte, aveva uno yacht, un figlio a New York, un’altra figlia a Londra e l’ultimo figlio di 13 anni in casa con lui e con la sua ultima moglie. Quest’uomo, apparentemente di successo, si è buttato dal decimo piano. Perché? Aveva cenato con gli amici, vicino alla spiaggia, la notte prima. Perché si è ucciso? Noi lo sappiamo. L’ha lasciato scritto lui: da molti anni si era reso conto che non amava più nessuno e questo non lo sopportava più! Non sopportava più una vita in cui era condannato a cercare se stesso in tutto. A vivere per se stesso, tutto per sé, senza amore.

E perché l’uomo non sopporta di vivere tutto per sé? Perché siamo stati creati ad immagine di Dio. Perché c’è in noi l’eco dell’amore, perché Dio è amore. Dice S. Paolo: io conosco il bene e lo vorrei fare, ma non c’è in me la capacità di attuarlo, “infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me” (cf Rom 7,18-20). Noi vorremmo avere una vita piena di amore, ma l’uomo sperimenta presto che non può amare. Non sa amare. E’ come condannato a vivere tutto per se stesso, in tutto cerca se stesso.

E perché non può e non sa amare? Lo dice la Lettera agli Ebrei: “…Come i figli hanno in comune il sangue e la carne, così anch’egli, Cristo, ne è divenuto partecipe, per annientare mediante la morte il signore della morte, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (cf Eb 2,14-15).
Qui c’è un’antropologia biblica impressionante, che è il contenuto di quello che noi predichiamo: comprendere perché ho paura della morte. La risposta è: perché in me abita il peccato.

E che cos’è il peccato? Se volete, nel fondo, è un’esperienza che ho fatto.
Quando il serpente, il demonio, dice a Eva che guarda l’albero della scienza del bene e del male: “Com’è che non potete mangiare del frutto di nessun albero del paradiso”? Eva risponde: “Sì, possiamo mangiare di tutti. Solamente di uno non possiamo”. Ma già il demonio le ha insinuato nel subconscio l’idea che se ha una proibizione è come se tutto le fosse proibito. Ha già preparato il terreno. Dopo le dice: “No! Tu non morrai. Ma Dio sa molto bene che il giorno che tu ne mangi (cioè ne faccia esperienza) sarai come Dio, conoscendo il bene e il male” (cf Gn 3). Deciderai da te stessa. Non dipenderai da nessun altro. No! Tu stessa deciderai ciò che è bene e ciò che è male. Allora Eva, vedendo che l’albero era gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza, ne mangiò e ne diede da mangiare ad Adamo. Fece un gesto. Che successe loro dopo aver mangiato? Si resero conto che erano nudi. L’uomo sperimenta la morte ontologica – si può dire così –, la morte ontica, visto che siamo in un’epoca esistenziale.





Chi mi sta dando l’essere? Chi mi dà il mio essere persona? Colui che mi ha creato. Dio mi ha dato l’essere. Ha detto: “Tu esisti per me”. E se il demonio mi dimostra con la legge che questo Dio non esiste, che questo Dio è un mostro? La prova che è geloso è proprio il fatto che mi limita con la legge. San Paolo dice che il demonio prendendo occasione della legge ci ha sedotto e ci ha ucciso.
Se io, con la mia intelligenza, credo che il demonio ha ragione e pecco affermando che Dio non c’è, perdo ontologicamente me stesso. Taglio le radici del mio essere persona.

Ma, allora, se io non sono, voglio essere, essere negli altri. Devo essere per qualcuno. Come? Facendo soldi. Se non hai denaro nessuno ti cerca. Se non sei bello nessuno ti vuole. Se non sei intelligente... Il peccato che abita in noi ci obbliga ad offrire a noi stessi tutte le cose.
Il peccato è proprio questo. Situare l’io dell’uomo al centro del mio cosmo. Il peccato distrugge l’immagine di Dio, che è Cristo, nell’uomo e situa l’io dell’uomo come “axis”, come centro di una nuova cosmogonia.

Ma questo uomo ha un problema: non può donarsi, non può amare l’altro oltre se stesso, oltre la morte. Se amare l’altro è fare del mio “io” un “tu”, io questo non lo posso fare con le sole mie forze, perché significa morire a me stesso, al mio io.
Questo fatto è fonte di insoddisfazione e di grandi sofferenze. Perché quest’uomo conosce il bene, ma non può farlo. Sa che come persona si realizza nell’altro, amandolo; ma se amare è fare come Dio in Cristo sulla croce, non lo può realizzare.

“Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?”, si domanda San Paolo. E risponde: “Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (Rm 7,24-25). Lui ha distrutto il peccato nella carne, morendo per noi, e offre all’uomo, nella sua resurrezione e ascensione al Cielo per intercedere per noi, la possibilità, mediante l’annunzio di questa notizia, di avere una vita nuova nello Spirito Santo che egli ci invia dal Cielo.

Cristo è morto per liberare l’umanità, per dare all’uomo la possibilità di vivere nella verità. E qual è la verità? Ecco la verità (indica il crocefisso). Ecco la verità. Questo è molto importante. Ascoltatemi.

Questo uomo crocefisso è Dio. Questa notizia che lo Spirito Santo ha reso certa nel cuore degli apostoli, che ha fatto loro aprire le porte del Cenacolo e partire ad annunziare il kerygma, è una notizia così importante che ogni battezzato è chiamato ad annunciare il vangelo ad ogni uomo.
Perché è importante? Perché questo amore, questa forma di amore che quest’uomo ha mostrato sulla croce, è Dio. E Dio lo ha resuscitato dalla morte e l’ha costituito Signore, Kyrios. In Lui ha mostrato che questo amore è la verità. Soltanto in questo amore gli uomini sono perfettamente, pienamente felici, sono nella verità.



Io domando a questo professore (Rinaldo Fabris) che sta scrivendo: lei ama così? Amiamo così noi? Questa vale anche per il Signor Cardinale, per Andrea Riccardi, per me... Amiamo noi? Amiamo così? “Amatevi come io vi ho amato”, dice Gesù. Cristo ci ha amato così, in questo amore.

E noi lo annunciamo a questi giovani che vorrebbero amare così, ma non sanno amare così. Non sanno quello che gli succede: vanno a letto con una ragazza, poi dopo con un’altra e un’altra, ecc. Ma non sanno perché dentro sono insoddisfatti. Non sanno quello che gli succede. Perché non sono felici? Non sono felici perché non sono nella verità. Dio è la verità. Dio è questo amore. Questo amore Dio lo vuole offrire a tutti gli uomini, perché questo amore è Lui stesso e ce lo offre nello Spirito Santo. Cristo è morto per tutti, perché gli uomini non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro (cf 2 Cor 5,18).

Allora, fratelli, io vi annuncio il kerygma: Cristo è morto per tutti noi che siamo qua. Ha dato la sua vita sulla croce perché noi potessimo ricevere dal cielo lo Spirito Santo, quello stesso Spirito, che ci farà amare così. E’ un dono gratuito, un frutto della sua morte per i nostri peccati.

Perché egli possa entrare dentro di noi adesso c’è bisogno che noi accettiamo quello che diceva Karl Barth, che accettiamo di lasciarci giudicare dalla croce di Cristo, adesso. Perché adesso è vero che noi non amiamo così.
Questo amore è descritto nel Sermone della Montagna quando dice: Non opponete resistenza al male (cf Mt 5,39). 







Ma il male è una parola astratta.
Gli Ebrei concretizzano questo tipo di male: primo male, che ti offendano nell’onore, l’onore della tua famiglia. Gli zingari difendono l’onore della famiglia col sangue, l’onore è ciò che vale di più. Ma dice Gesù Cristo nel Sermone della Montagna: Se qualcuno vi offende nell’onore, voi offrite l’altra guancia (cf Mt 5,39). Perché sappiamo che nell’ebraismo percuotere la guancia destra è una forma di offesa, di disprezzo. Per questo se qualcuno ti offende nell’onore, ti disprezza, tu offri la guancia sinistra.

Un’altra forma in cui ti possono fare del male: se qualcuno ti fa causa per toglierti la casa non reclamarla, lascia la casa e regalagli il campo (cf Mt 5,40). Un’altra forma di farti del male: se qualcuno ti ruba quello che è tuo non reclamarlo (cf Lc 6,30). Un’altra forma di farti del male: se qualcuno ti fa un sopruso sociale, se qualcuno ti obbliga ad andare carico per un miglio (la Legge proibiva che uno schiavo fosse obbligato a portare un carico di 80 kg per più di un miglio), tu va’ carico per due miglia (cf Mt 5,41).



Cristo nel Sermone della Montagna sta descrivendo l’uomo nuovo, l’uomo celeste. Sta descrivendo come Cristo ha amato noi. E’ lui che non ha opposto resistenza al male, è lui che ha dato l’altra guancia, è lui che si è lasciato rubare da noi, ecc.
Questa è l’opera in noi dello Spirito Santo che discende dal cielo. E quando discende dal cielo? Bene. Fondamentalmente la fede aumenta in noi per l’ascolto. La fede viene per l’udito! Se ascoltiamo! La fede viene dall’ascolto (cf Rm 10,17) e che cosa dobbiamo ascoltare? La buona notizia, il kerygma.
E che cosa dice il kerygma? Ciò che ti sto dicendo. Che Cristo è morto per i tuoi peccati, perché possa scendere su di te lo Spirito Santo. Ma quando…? Adesso, adesso!.

Guardate che S. Paolo nell’epistola ai Corinzi dice: "Ora è il momento della salvezza" (cf 2 Cor 6,2). Ora, ora. Il Sermone della Montagna dice: "Guai a quelli che ora ridono" (cf Lc 6,25). Ora. Questa parola, “ora”, è un riassunto della predicazione apostolica della Chiesa, è parola di Dio: quando viene annunciata si realizza. Ora è il momento della salvezza. Fratelli, ora, adesso per voi, in questa basilica, per tutti noi si realizza la salvezza. Ma quale salvezza? Ascoltatemi, ancora tre minuti.




Guarda che facile! Dice l’epistola agli Ebrei che Cristo è "l’impronta della sostanza divina" (cf Eb 1,3). Nessuno ha visto Dio. Cristo è la sua impronta. Vedete questo vessillo di bronzo? (indica il crocifisso) Come il vessillo del serpente di bronzo nel deserto. Questo è un’impronta, come un sigillo che si imprime nella cera, lascia un’immagine, un’impronta. Questa è l’impronta della sostanza. Sostanza è una parola filosofica. Che vuol dire? Dio nessuno l’ha mai visto. Cristo lo ha mostrato per te, adesso.

Che cosa ci ha mostrato? Che Dio è questo amore (mostra la croce), cioè crocifisso. Anche se sei un peccatore adesso, se hai fornicato ieri sera, se ti sei arrabbiato, anche se sei una persona che non perdona, se sei una persona rancorosa, Dio non ha bisogno per amarti che tu sia buono, che tu cambi vita… Dio ti ama così come sei. Dio ti ha amato quando eri un peccatore, un disgraziato, una canaglia. Dio ti ama, adesso, ti ama adesso in una forma infinita, fino a dare la propria vita per te.
Cristo ha dato la vita per te! Ascoltami!

Ecco la grande notizia: la morte è stata vinta. Cristo è risorto! E’ morto per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione. E’ risorto, è salito al cielo e siede alla destra del Padre.
E adesso dove sta Cristo? Nel cielo. E che cosa sta facendo Cristo? Sta presentando al Padre le sue piaghe gloriose per i tuoi peccati, per i tuoi e per i miei. Adesso sta officiando come Sommo Sacerdote. E perché sta presentando al Padre le piaghe? Perché la sostanza divina è amore a te. Dio vorrebbe stare in te, adesso. Essere uno con te, dentro di te, adesso. Perché questo amore è la sostanza divina.

Dice l’Apocalisse: “Guarda, io sto alla porta e busso” (Ap 3,20). Busso adesso. Se uno mi apre, Io ed il Padre entreremo in lui. Dio vuole essere “uno” in te. Dice S. Paolo che quando uno va con una prostituta si fa una sola carne con lei: “E prenderei io le membra di Cristo per farmi una sola carne con una prostituta?” Ma questo lo dice in riferimento ad un’altra cosa: "Colui che si unisce a Cristo si fa un solo spirito con Lui" (cf 1 Cor 6,15-17). Ecco il mistero di Dio: vorrebbe essere uno dentro di noi, oggi.

E diciamo la verità: Egli non è perfettamente uno in noi. Siamo tutti deboli, siamo tutti peccatori. Per questo abbiamo bisogno di ascoltare il kerigma che ci sproni, che ci esorti, che ci chiami alla fede, a credere in Lui, perché il nostro Battesimo rifiorisca, perché il nostro Battesimo sia innaffiato.
Allora, fratelli, “in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio” (cf 2 Cor 5,20).
Convertitevi e credete alla Buona Notizia. Convertirsi significa credere che quello che sto dicendo è vero. Che Dio ti ama adesso, che sta desiderando essere uno in te profondamente. Profondissimamente uno, uno.

Perché, guardate, da questo dipende la salvezza dell’Europa che sta andando all’apostasia. Cristo ha detto: “Padre come Tu sei in me ed io sono in te uno, così essi siano uno perché il mondo creda” (cf Gv 17,23). Solamente se siamo perfettamente uno il mondo crederà in Lui. Sono tre persone e un unico Dio. Uno. La comunione profonda in Dio, l’unità in Lui. Ecco il mistero della Santa Trinità.






Fratelli è una cosa immensa. Guai a me se non annunciassi il Vangelo, guai a te se non annunzi il Vangelo. Tutti dovremmo annunciare ad ogni persona che Dio la ama, che Egli ha mandato il suo Figlio. E mentre gli stai dicendo questo, Cristo, che è morto per i suoi peccati, sta presentando per quell’uomo le sue piaghe al Padre.
Se quell’uomo crede – e già il fatto che tu gli parli è segno che Dio gli vuole dare la fede – egli riceve immediatamente la visita dello Spirito Santo che gli rende testimonianza dentro che quanto gli annunci è vero, che Dio lo ama. E in lui si può dare la fede, quella fede senza la quale non si può avere accesso al Battesimo.

Ecco, fratelli, termino dicendovi che vorrei fare un canto con voi. C’è una cosa che mi emoziona in S. Paolo, quando dice: “Non so quello che desidero di più: se morire per andare con Cristo, che è di gran lunga il meglio, o vivere” (cf Fil 1,21ss).
Cristo è risorto, il cielo è stato aperto, la morte è stata vinta. Dice S. Paolo: non so se desidero di più andare con lui o continuare a vivere perché ancora avete bisogno di me. Ho fatto un canto con queste parole. Potete mettervi in piedi e, come una preghiera a Dio, cantare “Portami in cielo” .


lunedì 20 maggio 2013

Una Chiesa povera e per i poveri



L'elezione di papa Francesco è stata davvero una grande grazia
e anche una chiara risposta alla voce del povero che grida:
la voce di Lazzaro parla più forte
e il Consolatore viene con Lui.
Beato chi ha orecchie aperte per sentire
occhi illuminati per ben guardare
e un cuore ferito da risanare.



VEGLIA DI PENTECOSTE CON I MOVIMENTI, LE NUOVE COMUNITÀ, 
LE ASSOCIAZIONI E LE AGGREGAZIONI LAICALI
PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
Sabato, 18 maggio 2013


Domanda 3

"Padre Santo, ho ascoltato con emozione le parole che ha detto all’udienza con i giornalisti dopo la Sua elezione: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”.

Molti di noi sono impegnati in opere di carità e giustizia: siamo parte attiva di quella radicata presenza della Chiesa lì dove l’uomo soffre. Sono una impiegata, ho la mia famiglia e, come posso, mi impegno personalmente nella vicinanza e nell’aiuto ai poveri.

Ma non per questo mi sento a posto. Vorrei poter dire con Madre Teresa: tutto è per Cristo. Il grande aiuto a vivere questa esperienza sono i fratelli e le sorelle della mia comunità che si impegnano per lo stesso scopo. E in questo impegno siamo sostenuti dalla fede e dalla preghiera.

Il bisogno è grande. Ce lo ha ricordato Lei: “Quanti poveri ci sono ancora nel mondo e quanta sofferenza incontrano queste persone". E la crisi ha aggravato tutto. Penso alla povertà che affligge tanti Paesi e che si è affacciata anche nel mondo del benessere, alla mancanza di lavoro, ai movimenti migratori di massa, alle nuove schiavitù, all’abbandono e alla solitudine di tante famiglie, di tanti anziani e di tante persone che non hanno casa o lavoro.

Vorrei chiederle, Padre Santo: come io e tutti noi possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri? In che modo l'uomo sofferente è una domanda per la nostra fede? Noi tutti, come movimenti e associazioni laicali, quale contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini e donne?"



Risposta di papa Francesco

"Riprendo dalla testimonianza. Prima di tutto, vivere il Vangelo è il principale contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. E in questo siate furbi, perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo. Una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia, essere efficienti. No, quello è un altro valore.

Il valore della Chiesa, fondamentalmente, è vivere il Vangelo e dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione. Quando si sentono alcuni dire che la solidarietà non è un valore, ma è un “atteggiamento primario” che deve sparire… questo non va! Si sta pensando ad un’efficacia soltanto mondana.

I momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo – ma tu hai detto prima che “siamo in un mondo di menzogne” –, questo momento di crisi, stiamo attenti, non consiste in una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale. E’ una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo! E ciò che può essere distrutto è l’uomo! Ma l’uomo è immagine di Dio! Per questo è una crisi profonda!

In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai problemi. Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata.

La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: “Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!” (cfr Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! 

Pensate anche a quello che dice l’Apocalisse. Dice una cosa bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare nel nostro cuore (cfr Ap 3,20). Questo è il senso dell’Apocalisse. Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi figli di Dio?

In questa “uscita” è importante andare all’incontro; questa parola per me è molto importante: l’incontro con gli altri. Perché? Perché la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via, la cultura dello scarto. Ma su questo punto, vi invito a pensare – ed è parte della crisi – agli anziani, che sono la saggezza di un popolo, ai bambini… la cultura dello scarto! Ma noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza.

E un altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi stessi, troviamo la povertà. Oggi – questo fa male al cuore dirlo – oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo è grave, questo è grave! Noi non possiamo restare tranquilli! Mah… le cose sono così. Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo!

Quando io vado a confessare - ancora non posso, perché per uscire a confessare… di qui non si può uscire, ma questo è un altro problema - quando io andavo a confessare nella diocesi precedente, venivano alcuni e sempre facevo questa domanda: “Ma, lei dà l’elemosina?” – “Sì, padre!”. “Ah, bene, bene”. E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” – “Ah, non so, non me ne sono accorto”. Seconda domanda: “E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?”.

Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E questo non è facile.

Ma c’è un problema che non fa bene ai cristiani: lo spirito del mondo, lo spirito mondano, la mondanità spirituale. Questo ci porta ad una sufficienza, a vivere lo spirito del mondo e non quello di Gesù. La domanda che facevate voi: come si deve vivere per affrontare questa crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica. Siccome questa è una crisi dell’uomo, una crisi che distrugge l’uomo, è una crisi che spoglia l’uomo dell’etica. Nella vita pubblica, nella politica, se non c’è l’etica, un’etica di riferimento, tutto è possibile e tutto si può fare. E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita pubblica faccia tanto male all’umanità intera.

Vorrei raccontarvi una storia. L’ho fatto già due volte questa settimana, ma lo farò una terza volta con voi. E’ la storia che racconta un midrash biblico di un Rabbino del secolo XII. Lui narra la storia della costruzione della Torre di Babele e dice che, per costruire la Torre di Babele, era necessario fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare, impastare il fango, portare la paglia, fare tutto… poi, al forno. E quando il mattone era fatto doveva essere portato su, per la costruzione della Torre di Babele. Un mattone era un tesoro, per tutto il lavoro che ci voleva per farlo. Quando cadeva un mattone, era una tragedia nazionale e l’operaio colpevole era punito; era tanto prezioso un mattone che se cadeva era un dramma. Ma se cadeva un operaio, non succedeva niente, era un’altra cosa. Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’… tragedia… come si fa? Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non fa niente! Questa è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità".