san Paolo

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D’improvviso lo avvolse una luce dal cielo (At 9,3)

martedì 4 settembre 2018

La storia di Eduardo Verástegui

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 “Mi sono reso conto che ero vuoto”. Ad affermarlo è Eduardo Verástegui, un famoso attore messicano e produttore di Hollywood che ha avuto una forte conversione al cattolicesimo e ha per questo deciso di dedicarsi solo a film che “tocchino il cuore del pubblico ed elevino l’intelletto”.
“Sono cresciuto in un ambiente in cui pensavo che il vero uomo fosse il dongiovanni, il latin lover, lo sciupafemmine, il playboy, il casanova, il seduttore. (…) Credi che per poter essere felice devi diventare quell'uomo, e fin da adolescente ho pensato che se non diventavo un dongiovanni sarei stato un perdente (…) Per molti anni sono stato infedele, ho fatto del male, ho ingannato, ho fatto cose delle quali mi pento. Se dobbiamo tener conto della regola d'oro, 'Tratta gli altri come vorresti essere trattato', non l'ho certo rispettata. (…) Ignoranza, immaturità, chiamatela come volete”.
“Quando ho compiuto 28 anni, la mia professoressa di inglese si è resa conto di questo stile di vita”. Era una donna intelligente, poco più grande di lui, di appena 33 anni, psicologa – ma questo lui ancora non lo sapeva –, che vedendolo un po' “disorientato” gli ha chiesto se in futuro voleva sposarsi e avere delle figlie. L'attore ha risposto di sì, e lei gli ha chiesto di fare una lista delle caratteristiche che avrebbe voluto avesse il marito di una sua eventuale figlia.


Verástegui ha scritto una lista che dipingeva un uomo ideale, e quando la donna gli ha chiesto se lui era un uomo del genere ha dovuto riconoscere che non lo era affatto. La professoressa gli ha chiesto: “Perché tu vuoi un uomo di questo tipo per tua figlia quando non sei quest'uomo per la figlia di qualcun altro?”
“Allora ho promesso a Dio che avrei trattato ogni donna come mi piacerebbe che trattassero la mia futura figlia, mia madre o le mie tre sorelle”, ha dichiarato.
“Grazie a queste conversazioni, ho capito che il sesso è sacro, che è un dono di Dio. Bisogna curarlo, bisogna preservarlo per condividerlo con la donna più importante, nel mio caso sarà la madre dei miei figli. Quando? Il giorno in cui mi sposerò”.
“Sarò fedele a questa persona che ancora non conosco, la madre dei miei figli, alla quale voglio donare la mia vita, e farò una promessa di castità, una disciplina di astinenza, una disciplina di controllare le passioni”, si è detto. Questa disciplina, come ha detto chiaramente al giornalista, non include la masturbazione.
La via che ha scelto non è impossibile. “Ho quarant'anni e mi sento meglio che mai”, ha affermato Verástegui.
“Necessità fisica è respirare perché se non respiri muori, mangiare perché se non mangi muori. Non ho mai sentito di qualcuno che sia morto per astinenza. Si ha un desiderio, un desiderio molto forte, che si può controllare. Non siamo animali (…) Le passioni sono positive, ma le passioni ordinate. Le passioni ordinate obbediscono alla ragione, e la ragione obbedisce a un potere superiore. Fondamentalmente è una disciplina per poter custodire ciò che è sacro e poterlo condividere un domani con la madre dei miei figli, e il giorno in cui la conoscerò, attraverso Dio, dirle 'Ti sono stato fedele da tanti anni anche senza averti conosciuto'. E questo dà una struttura molto forte al mio futuro matrimonio. Mi sto preparando per lei, per essere un buon marito, per essere un buon padre, se questa è la mia vocazione”.
L'attore ha concluso con un pensiero di Aristotele, “un grande filosofo”: “'Non c'è conquista più grande della conquista di se stesso'. Quando si conquista se stessi, tutto il resto è più facile”, ha commentato.
“È un lavoro da svolgere tutti i giorni. Io sono una persona molto debole, ed è per questo che ho una disciplina spirituale, perché se mi togli la mia disciplina spirituale, se mi togli Dio dal centro della vita collasso in due minuti, non ce la faccio. Vivo inoltre in un ambiente pieno di tentazioni (…), se non ho questa disciplina spirituale quotidiana, se non vado alla palestra dell'anima per condurre una vita virtuosa, non ce la faccio, è impossibile, impossibile”.
https://www.dropbox.com/s/nbk60catijrxnka/Verastegui.mp4?dl=0
“Spesso la società ci dice che se non raggiungiamo la cima di una montagna e non siamo qualcuno, se non abbiamo successo, allora siamo dei falliti”; “ciò che credevo mi avrebbe reso felice, che mi avrebbe dato pace, che mi avrebbe reso un uomo completo si è rivelato una menzogna; stavo inseguendo una menzogna”. Da questa consapevolezza è nato il desiderio di dare vita a un diverso tipo di cinema capace di cancellare l’immagine negativa dei latini che Hollywood “si è impegnata a perpetuare dagli anni ’40 fino a oggi”. “Ho fatto una promessa a Dio, che non avrei mai più lavorato a un progetto che offendesse la mia fede, la mia famiglia o la mia comunità latina”, ha confessato.E’ nata così l’idea di creare una rete di produzione chiamata “Metanoia Films”, che come spiega Verástegui ha l’obiettivo di “produrre pellicole che abbiano il potenziale non solo di intrattenere il pubblico, ma anche di fare la differenza nella nostra società, elevando, sanando e rispettando la dignità dell’essere umano”. “Pellicole che tocchino il cuore del pubblico ed elevino l’intelletto verso ciò che è buono, bello e vero, verso l’eccellenza”, ha aggiunto. “Ho proposto io il nome Metanoia Films al mio gruppo, perché è quello che ho sperimentato io, una metanoia. La parola metanoia in greco significa conversione”. Verástegui ha confessato di aver pensato a un certo punto di abbandonare Hollywood per fare il missionario “per capire cosa Dio volesse da me, dalla mia vita” e “scuotermi di dosso quella polvere che avevo sull’anima dopo tanti anni di vita mondana”. “Ho venduto tutto, ma prima di andare nella jungla un mio amico sacerdote, padre Juan Rivas, mi ha consigliato di non partire, chiedendomi di donare quei due anni che volevo vivere da missionario in Amazzonia a Hollywood, perché mi diceva che anche Hollywood era una jungla”.“Mi ha detto: devi restare qui, è qui che Dio ti ha toccato, è qui che Dio ti ha aperto gli occhi e non sei solo perché Dio più uno è un esercito, e Hollywood non appartiene agli ‘Studios’, ma a Dio. Dobbiamo recuperarla”. “Così sono rimasto – ha raccontato – e alcuni anni dopo abbiamo creato questa casa di produzione, la Metanoia Films. E il primo frutto di questo impegno e di questa promessa si chiama Bella (www.bellathemovie.com).

lunedì 19 febbraio 2018

La storia di suor Anna Nobili


La conversione di suor Anna Nobili, la "ballerina del Signore" e il viaggio a Medjugorje :: Blog su Today

Storia di conversione di suor Anna Nobili,
 "la ballerina del Signore"


La conversione di suor Anna Nobili, la "ballerina del Signore" e il viaggio a Medjugorje :: Blog su Today



"Ero una bambina sofferente, cha balbettava e per non sentirmi a disagio di fronte agli altri – racconta suor Anna – mi ritiravo nel mio silenzio. Mia mamma nonostante fosse molto impegnata col lavoro, si è sempre occupata di me e dei miei fratelli, Marco e Cristiano, permettendoci di andare avanti con una certa sicurezza. Papà invece passava più tempo fuori che con noi, era inquieto, tante volte aggressivo, non stava bene in nessun posto e così abbiamo cambiato tante volte casa, città e regione. Per un periodo abbiamo vissuto a Nesso in provincia di Como dove i miei gestivano una trattoria. Ero solo una ragazzina ma mi davo da fare, e dopo la scuola mettevo il grembiule per servire ai tavoli. I miei hanno faticato molto a stare insieme, non andavano d’accordo, e il clima in famiglia era teso. Mia mamma ha deciso di separarsi e di trasferirsi a Milano con noi figli. Avevo circa 13 anni. Nonostante il dolore della divisione, credevo fosse la soluzione migliore perché così non avrei più sofferto. Mi sbagliavo. L’unico mio rimpianto del passato è di non aver capito che non ero sola nella mia sofferenza, Gesù soffriva con me".“




La conversione di suor Anna Nobili, la "ballerina del Signore" e il viaggio a Medjugorje :: Blog su Today
"Ero una bambina sofferente, cha balbettava e per non sentirmi a disagio di fronte agli altri – racconta suor Anna – mi ritiravo nel mio silenzio. Mia mamma nonostante fosse molto impegnata col lavoro, si è sempre occupata di me e dei miei fratelli, Marco e Cristiano, permettendoci di andare avanti con una certa sicurezza. Papà invece passava più tempo fuori che con noi, era inquieto, tante volte aggressivo, non stava bene in nessun posto e così abbiamo cambiato tante volte casa, città e regione. Per un periodo abbiamo vissuto a Nesso in provincia di Como dove i miei gestivano una trattoria. Ero solo una ragazzina ma mi davo da fare, e dopo la scuola mettevo il grembiule per servire ai tavoli. I miei hanno faticato molto a stare insieme, non andavano d’accordo, e il clima in famiglia era teso. Mia mamma ha deciso di separarsi e di trasferirsi a Milano con noi figli. Avevo circa 13 anni. Nonostante il dolore della divisione, credevo fosse la soluzione migliore perché così non avrei più sofferto. Mi sbagliavo. L’unico mio rimpianto del passato è di non aver capito che non ero sola nella mia sofferenza, Gesù soffriva con me".

La conversione di suor Anna Nobili, la "ballerina del Signore" e il viaggio a Medjugorje :: Blog su Today
"A 18 anni mi sono iscritta a un corso di danza, amavo da sempre la musica e sin da piccola portavo dentro di me il sogno di ballare. Scopro una passione per la danza che riesce a trasmettermi grandi emozioni, la voglia di vivere; è come – sottolinea suor Anna – se mi avesse liberata da una gabbia in cui mi ero rifugiata a causa delle mie paure e insicurezze. Mi permetteva di comunicare senza parlare, cosa che evitavo il più possibile. All’inizio m’interessava solo danzare, non avevo l’ambizione di approdare nel mondo dello spettacolo. Poi conosco una coreografa che da lì a un anno mi introduce nell’ambiente della televisione. Avevo capito che ci sapevo fare col ballo e nonostante io non mi piacessi, agli altri il mio corpo piaceva. Il movimento della danza attirava gli sguardi su di me, e siccome avevo un gran bisogno di affetto, di attenzioni, avevo visto in questo un mezzo per ottenerle e per sentirmi valorizzata. Ho iniziato a lavorare nelle più note discoteche milanesi che frequentavo anche quando ero libera per divertirmi, e passavo fuori tutta la notte. Ho iniziato a usare la sensualità del mio corpo e non capivo che non era una cosa buona perché non avevo la percezione del peccato. Pensavo che quella che mi si presentava fosse l’unica vita per me. Cambiavo ragazzo con facilità, e non ero consapevole che stavo cercando, nel rapporto fisico, la compensazione dell’amore che mi è mancato soprattutto da mio papà. Senza rendermene conto, mi stavo ferendo sempre di più e il vuoto dentro di me si dilatava. Stavo male e non capivo. Passavo da un uomo all’altro e non provavo alcun sentimento. Era tutto meccanico. Se uno mi piaceva me lo prendevo senza tanti preamboli. Avevo perso il rispetto del mio corpo e la mia dignità di donna. Ed è stato in quel momento, il peggiore e più buio della mia esistenza, che Dio mi ha raggiunta attraverso mia mamma che aveva nel frattempo scoperto la fede. La sera, quando stavo davanti allo specchio a truccarmi e a pettinarmi, lei mi veniva accanto e mi parlava della Parola di Dio. Allora non capivo assolutamente il senso di questo suo comportamento. Mi ribellavo a ciò che mi diceva e non le risparmiavo insulti e parolacce. Allora mia mamma decise di rimanere in silenzio e di pregare e di far pregare per me”.


La conversione di suor Anna Nobili, la "ballerina del Signore" e il viaggio a Medjugorje :: Blog su Today
"Passano due anni, un giorno per strada una ragazza mai vista mi chiama per nome (suppongo che sapesse di me per via delle foto sparse da mia mamma in parrocchia per chiedere preghiera) e m’invita a un ritiro spirituale per giovani al Santuario della Madonna di Europa a Motta, a Campodolcino, in Valchiavenna. È stata così coinvolgente che ho accettato. Avevo 21 anni. Rimasi stupita dal modo essenziale in cui i ragazzi e le ragazze si divertivano senza eccessi, si respirava aria ‘pulita’ e non immaginavo potesse esistere una realtà del genere. Era semplice e attraente allo stesso tempo ma io non ne potevo far parte, era ancora troppo lontana dalle mie abitudini. E sono ritornata alla mia vita di sempre. Passa un po’ di tempo, e arriva la sera della Vigilia di Natale. Sento il bisogno di entrare in chiesa (la basilica di Sant’Eustorgio a Milano) e rimango affascinata dall’ambiente, dall’atteggiamento fraterno dei cristiani, dal profumo degli incensi… Da allora vado a Messa ogni domenica, e poi il desiderio cresce e l’appuntamento diventa quotidiano. Stavo bene, sentivo l’Amore di Dio per me, ma gli facevo ancora resistenza, continuavo a ballare in discoteca. La mia conversione è stata molto lenta e graduale. Vivevo una doppia vita: ero divisa tra l’adrenalina e l’euforia della notte, la musica, l’alcool e la gioia che provavo in chiesa dove incontravo belle persone che volevano solo conoscermi e non usarmi. Questo è andato avanti per circa otto mesi. Ma non ce la facevo più. Ero incastrata in una doppia vita e non riuscivo a dare una svolta. Mi sono allora rivolta a Gesù: ‘Se tu ci sei veramente il mio cuore deve cambiare, non posso continuare a stare col piede in due scarpe’. E decido di partire da sola per tre giorni ad Assisi alla ricerca di un segno della Sua presenza. Un tempo che Dio si è giocato bene! Ho alloggiato presso i ‘Piccoli Fratelli’ di Charles de Foucauld. Il loro stile povero, ma ricco di pace, mi ha sorpreso".
La conversione di suor Anna Nobili, la "ballerina del Signore" e il viaggio a Medjugorje :: Blog su Today
"Un pomeriggio,  mentre passeggiavo fuori dalla Basilica, ho assistito a un fenomeno naturale spettacolare: il tempo era nuvoloso, tutto il cielo coperto e all’improvviso, tra le nuvole, sono filtrati dei fortissimi raggi di sole così intensi che tutto il paesaggio si è dipinto di color arancione. In quell’attimo ho ammirato la meraviglia della creazione di cui solo Dio poteva essere l’autore. E poi succede una cosa incredibile! Ero in treno, stavo rientrando da Assisi a Milano, mancava poco all’arrivo, quando a un tratto ho percepito forte la presenza di Dio in me. Era così forte che ho iniziato a piangere dalla gioia. Ero emozionatissima, non riuscivo a trattenere le lacrime, per avevo vergogna, non volevo farmi vedere davanti a tutti, e così mi sono nascosta nella toilette. Allo specchio vedo sul mio volto una luce che non riconoscevo, non mi ero mai vista prima così luminosa. Mi sono quasi intimorita, non comprendevo che cosa stesse accadendo. Avevo respirato l’amore di Dio! Esco fuori dal bagno e nel mio cuore dico: ‘Si’. Il Signore mi aveva aperto gli occhi! Il mio corpo era tempio di Dio e la sessualità era sacra, non potevo gettarmi via. Ciò che avevo compreso strideva con la mia vecchia vita. Ho deciso di lasciare il lavoro della notte. Quello è stato il mio primo taglio che mi ha permesso d’iniziare un cammino nuovo per trovare la mia identità e scoprire la vera Anna. Avevo 23 anni. È iniziato da lì un processo di guarigione, lento, faticoso che è proseguito anche da consacrata, e mi ha portato a sentire, poco a poco, l’amore di Dio dentro di me, a non più a cercarlo fuori da me stessa. Dopo la mia conversione si sono presentate davanti a me due scelte: la consacrazione o il matrimonio. Non era facile capire quale fosse la strada più giusta, è stata una ricerca difficile".


La conversione di suor Anna Nobili, la "ballerina del Signore" e il viaggio a Medjugorje :: Blog su Today
"Da una parte ero attratta dalla vita religiosa ma temevo di non riuscire a gestire la mia affettività, dall’altra se provavo a immaginarmi sposata, mi sentivo a disagio. A 25 anni  vado a Medjugorje e faccio un’esperienza presso la Comunità delle Beatitudini. Ma, ancora, non capivo a che cosa fossi chiamata. Ero confusa. Non ho assaporato appieno quel luogo di grazia dove desidero tanto ritornare perché sono molto legata alla Madonna. Passa un po’ di tempo e mi viene data l’opportunità di fare un ritiro presso le suore Operaie della Santa casa di Nazareth che ha sede a Botticino, in provincia di Brescia. Folgorata dai loro visi pieni di gioia, alcune di loro seppur più grandi di età dimostravano meno anni di me, tanto erano radiose. Mi trattengo da loro più a lungo per capire meglio e ho toccato con mano che il loro entusiasmo era autentico. Durante quel tempo, ho ricevuto una luce mentre stavo meditando la Parola di Dio. Ho capito che il matrimonio non faceva per me. Si è schiarita la nebbia, seppur già da un po’ mi sentivo fortemente attratta dal Signore. Ho trovato una famiglia religiosa speciale. Mi ha dato tanta fiducia e amore e questo ha permesso a Gesù di guarirmi. Ho sentito dentro di me l’amore di Dio, e piano piano, con tanta sofferenza, ho cominciato ad amarmi e accettarmi. Avevo 28 anni quando ho preso i primi voti".

La conversione di suor Anna Nobili, la "ballerina del Signore" e il viaggio a Medjugorje :: Blog su Today
"Un paio di anni prima avevo smesso la danza e l’insegnamento perché pensavo fuorviasse i ragazzi. Sono andata in crisi. L’errore è stato di tagliare con tutto, per tendere a una vita spiritualizzata, reprimendo la mia femminilità, le mie emozioni. E questo mi ha portato alla depressione. Invece ho capito che devo andare a Dio con tutta me stessa, col mio passato, il mio presente, con tutto. Ed è Lui che mi ha raggiunta al punto in cui stavo, ed è intervenuto dove ne avevo bisogno, guarendo le mie ferite, plasmandomi e aiutandomi a trovare un nuovo equilibrio interiore, donandomi fiducia in Lui. Ho capito che quel senso di abbandono e vuoto che mi ha accompagnato da sempre, non è altro che il luogo sacro di Dio, in cui nessuno può entrare. E finchè Dio non prende la Sua terra, sarà sempre terra di ladri. Dopo essere entrata nel loro ordine (nel 2008 ho preso poi i voti perpetui) le mie consorelle mi hanno esortato a riprendere la danza. Così dicevano: 'È un dono che non può essere soffocato, ma va donato agli altri e posto al servizio della Chiesa'. Così, ciò che prima rappresentava un mezzo per stare al centro dell’attenzione, è diventato uno strumento al servizio di Dio per esprimere il mio amore per Lui. Nel 2007 è nata la scuola Holy dance (danza Santa) con sede a Palestrina, aperta a tutti i bambini, i ragazzi, i giovani e gli adulti. Vogliamo dare lode a Dio con la danza e comunicare il Vangelo, favorire una formazione artistica, umana, spirituale, quindi la crescita integrale di ogni persona. Oggi conta un centinaio di iscritti. Successivamente, sono sorte le sedi distaccate di Putignano, Foggia e Monlupo e abbiamo organizzato tanti stage in giro per l’Italia".

[Tratto da: http://www.today.it/blog/nel-nome-del-padre/conversione-suor-anna-nobili-ballerina-del-signore-medjugorje.html]



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lunedì 31 ottobre 2016

La storia di Ximena Galvez


Desconectaron a la bebé, la consideraban en vida vegetal, la dieron a la mamá... y la niña sonrió

Il miracolo che ha confermato
la santità di José Sánchez del Río

Otto anni fa, i medici in Messico scollegarono una bambina di nome Ximena Galvez dalle apparecchiature che la tenevano in vita, convinti che fosse morta a livello cerebrale.
Domenica scorsa, Ximena ha abbracciato forte papa Francesco durante una Messa in Piazza San Pietro.

L’incredibile storia di questa bambina è venuta alla ribalta in occasione della canonizzazione di José Sánchez del Río, martire della Guerra Cristera messicana.

Paulina Galvez, la mamma di Ximena, è convinta che sia stato attraverso l’intercessione di San José – chiamato affettuosamente dai messicani “Joselito” – che sua figlia è riuscita a sopravvivere. E la Chiesa è d’accordo con lei, considerando la sua guarigione inspiegabile dal punto di vista medico un segno da parte di Dio del fatto che Joselito è un santo.

Paulina Galvez è di Sahuayo, nello Stato messicano di Michoacán, dove San Joselito nacque nel 1913 e venne martirizzato nel 1928. 
Si tratta di una zona del Messico in cui i cristeros, incluso San Joselito, lottarono coraggiosamente per la libertà religiosa e che ora è sottoposta a nuove prove per via dell’attività sempre più intensa dei cartelli della droga.
Parlando con Aleteia a Roma, Paulina si è descritta come “una persona che è stata abbondantemente benedetta ed è molto amata da Dio e dalla nostra Beata Madre”.

Potrebbe descriverci brevemente cos’è accaduto a sua figlia otto anni fa?
Mia figlia aveva meningite, tubercolosi ed epilessia; hanno dovuto asportarle un polmone; ha avuto un ictus. Quando me l’hanno data, mi hanno detto che era già in “stato vegetativo”. Io ho detto che non credevo nei medici ma credevo in Dio, ed è stato allora che ho iniziato ad aggrapparmi a Lui.

Cosa l’ha convinta che sia stata l’intercessione di José a guarire sua figlia?
Dopo che mi è stato detto che secondo i medici aveva 72 ore di vita e che l’avrei portata a casa morta, ho visto che la prima volta in cui ho messo un’immagine raffigurante mi niño (José Sánchez) accanto a lei mi ha stretto il dito. La seconda volta ha mosso la gamba. La terza apriva e chiudeva gli occhi ogni volta che le mostravo l’immagine, e ogni volta ho iniziato a pregare. E allora ho scoperto che mia figlia stava bene, che nostro Signore e la nostra Madre erano con lei e che mi niño, José Sánchez, la teneva tra le braccia. E lei ha risposto ogni volta che le mettevo la sua immagine davanti agli occhi.

Ci dica del processo di indagine del Vaticano…
Sono stati sette anni e mezzo lunghissimi, con studi, visite in vari ospedali, medici… Studi e altri studi. È stato un processo molto lungo e penso che per me sia stato un incubo, ma grazie a Dio l’abbiamo gestito, e ora possiamo dire che il nostro niño, José Sánchez del Río, è stato elevato agli altari e viene riconosciuto come santo in tutto il mondo.

Come sta ora Ximena?
È felice. Piena d’amore, di salute, di felicità. È davvero benedetta. E penso che sia più vicina a Dio della maggior parte degli altri bambini.

Com’è cambiata la sua vita dopo tutto questo?
È tutto diverso. Mi sento più vicina a Dio e alla nostra beata Madre. Ho sperimentato in modo più profondo l’amore che Dio ha per noi e quanto Egli sia grande. Il suo tempismo è perfetto. Al Suo fianco, non dobbiamo temere nulla.

Abbiamo visto che c’è stato un abbraccio molto sentito tra Ximena e il Santo Padre, e anche tra lei e il papa…
È stato un sogno divenuto realtà per entrambe stargli così vicino, poter condividere la nostra gioia con lui e soprattutto esprimergli la nostra gratitudine per il fatto che grazie a lui il nostro niño abbia potuto essere canonizzato. E chiedergli di pregare per la pace nel mondo, nelle nostre famiglie, e ancora dirgli che gli vogliamo davvero bene e che preghiamo per lui.

Le ha detto qualcosa in particolare?
Ha detto che anche lui ci voleva molto bene e che dovevamo pregare per lui.

Questo articolo si basa su un’intervista fornita da Mariangeles Burger e Luz Ivonne Ramírez Padilla.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]
tratto da: http://it.aleteia.org/2016/10/20/miracolo-confermare-santita-jose-sanchez-del-rio/

sabato 17 settembre 2016

La storia di Katja Giammona


"Ho visto l'Inferno e la mia vita è cambiata"

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Nata a Wolfsburg (Germania) l’11 luglio del 1975 in una famiglia italiana di Testimoni di Geova, Katja all’inizio dell’adolescenza – grazie all’amicizia con una ragazza cattolica e alla guida di un pastore protestante – sentì il desiderio di perfezionare il suo battesimo entrando nella Chiesa Cattolica.

In realtà per qualche tempo, come molti ragazzi, visse una vita doppia senza neanche rendersene pienamente conto: “Io ero una peccatrice che neanche si rendeva conto di esserlo. Perché il mondo ti ripete che non esistono peccati...” Katja, pur dichiarandosi ufficialmente cattolica “sulla carta”, conviveva con un ragazzo, con il quale ebbe anche una figlia, e cercò di realizzare il suo sogno di successo nel mondo dello spettacolo, diventando un'attrice di qualche notorietà: "mi trovai a fare una vita che per me era una festa. Ogni notte quando potevo mi trovavo alla P1, una discoteca di Monaco di Baviera 
dove la gente famosa andava a divertirsi".

Ancora oggi si legge su Wikipedia: "Katja Giammona è un'attrice tedesca di origine italiana, attiva in televisione e nel cinema dalla seconda metà degli anni novanta. Tra i suoi ruoli più noti figura quello di Pia Lombardi, nella serie televisiva Il nostro amico Charly"

Ma la sua carriera fu definitivamente interrotta 
nel febbraio del 2002, perché, come spiega lei stessa:
 “Cristo mi voleva sua, e che vivessi e lavorassi solo per Lui”.
 Mentre si trovava a Berlino per il Festival Internazionale del Cinema, avvenne qualcosa che le cambiò radicalmente la vita. Rientrata in casa di alcuni amici, andando a letto si sentì male, 
senza sapere perché: 

"di colpo mi sono ritrovata in una stanza buia. Era nera e non aveva pareti... sembrava larga perché io nelle fiamme correvo per cercarne l'uscita. Le fiamme si alzavano da terra, erano gialle, arancioni 
e andavano verso l'alto..." 

"Lì tra le fiamme mi apparve una persona giovane che non so se era uomo o donna, con un viso bello e capelli neri lisci, corti a caschetto... Questo essere mi rideva in faccia mentre io cercavo di fuggire. Io corsi via, ma lui rimase dietro di me nelle fiamme tutto calmo, senza temere che potessi sfuggirgli, e gridava: «Corri, corri, che tanto di qui non uscirai! Vedi che non c'è uscita, puoi correre quanto vuoi...» 
Intanto io bruciavo, sentivo il dolore del bruciare, ma non fisicamente, il corpo non bruciava, rimaneva intatto. Non dimenticherò mai la sofferenza atroce che provavo". 

Poi quell'essere demoniaco le disse: "Adesso che i tuoi polmoni stanno esalando l'ultimo respiro e il tuo cuore cessa di battere, 
è qui che ti ritrovi, qui per sempre". Allora Katja capì che si trovava in punto di morte o che forse era già morta. Era un posto dove non si poteva riflettere, tanta era la sofferenza e il panico, ma dove "certamente si acquisiva di colpo consapevolezza di sé, in modo drammatico e durissimo".

A un certo punto, continuando a correre, vide il salotto della casa dei suoi genitori, e sua madre che si svegliava alle tre di notte per pregare. Tentò di gridare, le chiese di pregare per lei, ma la madre non poteva vederla né sentirla. Sua madre si era convertita anche lei al cattolicesimo ed era divenuta un'anima di preghiera quando Katja aveva avuto una gravidanza difficile, e faceva penitenze e digiuni per la sua conversione. A Katja davano fastidio tutte quelle preghiere, la vedeva come una fanatica bigotta, la facevano sentire in colpa e temeva le portassero sfortuna, perciò un tempo le aveva chiesto di smettere di pregare per lei. E ora che la supplicava non poteva sentirla e continuava con le sue preghiere a santa Brigida:

"quella notte tutto si ribaltò e lì nelle fiamme non facevo altro, disperatamente, che chiedere con umiltà a mia madre 
di pregare per me!... E capii che il tempo può finire anche all'improvviso, la vita sulla terra passa e noi non cessiamo di esistere. La vita continua nell'Aldilà. O in un luogo bello e felice oppure in un luogo tenebroso e doloroso..."

Alla fine sua madre pregò comunque per lei come faceva sempre con devozione e amore materno. Katja però aveva compreso che “questa è una vera punizione: non avere nessuno che prega per te”.
Allora tornò in sé e si ritrovò sul letto, immobile, pallida, fredda, con le labbra “leggermente azzurre”, stretta nel suo corpo, cercava di parlare ma non riusciva. I suoi amici erano lì, spaventati perché da ore non si svegliava nonostante dei muratori che lavoravano nella sua stanza e stavano per chiamare un'ambulanza. Poi di colpo aprì la bocca e diede un respiro. Un’esperienza simile a quelle di pre-morte, tipica di chi si risveglia dal coma. 

Katja Giammona © katja-giammona.de

Da quella notte la vita di Katja cambiò direzione. Diede fine ad una relazione affettiva adulterina e dopo un paio di mesi si recò in pellegrinaggio a Medjugorje, dove decise di consacrare la sua vita al servizio di Dio e di vivere ritirata in preghiera con Cristo per non perdere mai la sua presenza. Oggi è un'eremita post-moderna e si chiama sorella Benedicta:

"Gesù mi fece alzare lo sguardo verso il cielo e mi disse chi sono le vere star! Star significa stella, Lui mi disse che le vere stelle non sono i famosi attori che hanno vinto un Oscar, ma i santi. Sono i cristiani che amano Gesù e lo seguono sulla via della croce! Anche se nascosti agli occhi della gente e del mondo, essi non sono nascosti a Dio e al Cielo. Loro sono le stelle che luccicano nel cielo..."

Tratto da Antonio Socci, "Avventurieri dell'eterno", Rizzoli
Cfr. http://it.aleteia.org/2015/09/08/katja-giammona-dal-grande-schermo-al-piccolo-eremo-passando-per-linferno/

martedì 17 maggio 2016

La storia di Irene Bertoni


Cofondatrice di Nomadelfia, prima "mamma di vocazione"



A Nomadelfia, dove «la fraternità è legge» e si vive come nelle prime comunità cristiane, più che piangere per la scomparsa, si gioisce e si ringrazia Dio per quella che definiscono la «partenza per la vita eterna» di Irene Bertoni, prima «mamma di vocazione» e assieme a don Zeno Saltini cofondatrice di questa particolare esperienza e della cittadella nei pressi di Grosseto.

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, il 6 febbraio 1923, Irene è morta domenica a Roma dove ormai viveva stabilmente dagli anni Settanta nella casa donata ai nomadelfi da Paolo VI
Irene aveva appena 18 anni, non era all’epoca nemmeno maggiorenne, quando nel 1941 iniziò a seguire don Zeno e si presentò al proprio vescovo con due ragazzi abbandonati: «Non sono nati da me – spiegò –, ma è come se li avessi partoriti io». Il vescovo benedisse la giovane liceale e la sua maternità non dalla carne o dal sangue, ma dallo spirito e dalla volontà. 
Da quel momento, Irene ha donato la sua maternità a 58 figli oltre ad occuparsi per mezzo secolo dei rapporti con la Santa Sede e con lo Stato italiano, incontrando in questo lungo periodo Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e in particolare Giovanni Paolo II.

Nomadelfia è un popolo di volontari cattolici che vuole costruire una nuova civiltà fondata sul Vangelo, sul modello delle prime comunità cristiane. Tutti i beni sono in comune, non esiste proprietà privata. Non circola denaro, si lavora solo all'interno senza essere pagati. Le famiglie sono disposte ad accogliere figli in affido. 

In Nomadelfia vivono attualmente una cinquantina di famiglie. Vi sono famiglie di "mamme di vocazione" e di sposi. Le mamme di vocazione sono donne che rinunciano al matrimonio per vivere una maternità virginea e accogliere ed educare minori abbandonati come veri figli, per sempre. 
Anche gli sposi sono disposti ad accoglierli con lo stesso spirito.





La storia di Wolfgang Fasser


Incontro con l'invisibile


“L’essenziale è invisibile agli occhi”, la celebre frase di Saint Exupery ben si presta a descrivere la vita di Wolfgang Fasser, il fisioterapista non vedente che cura i bambini disabili attraverso la musica e accompagna ragazzi e adulti di notte nel bosco ad ascoltare i suoni della natura.



“Di solito siete voi ad accompagnare me nel mondo del visibile, per una volta vorrei portarvi nel mio mondo, il mondo di ciò che è invisibile agli occhi”. 

E’ questo l’invito che Wolfgang Fasser, non vedente dall’età di 22 anni a causa di una malattia degenerativa, rivolge a coloro che lo scelgono come guida per inoltrarsi nei boschi la notte, nella totale oscurità, per ascoltare i suoni degli animali e scoprire altre dimensioni del “vedere”, in un’immersione completa con il mondo della natura.
Presentare Wolfgang Fasser non è facile, tanti sono gli aspetti che caratterizzano la sua esperienza umana così originale. Nasce nel 1955 in un paese sulle Alpi svizzere. La sua vista manifesta subito dei problemi a causa  della retinite pigmentosa e diventerà completamente cieco all'età di 22 anni. Nessuna battuta d'arresto però nella sua vita. Diventato fisioterapista svolge la sua attività con successo in Svizzera. Nell'87 lascia tutto per andare in uno degli stati più poveri dell'Africa, il Lesotho. Vi rimane 3 anni. Rientrato da quell'esperienza si ritira a vivere in campagna, aPoppi nel casentino, dove dà vita insieme a don Luigi Verdi alla Fraternità di Romena, un'esperienza che offre percorsi di ricerca interiore a quanti desiderano ritrovare una vita più autentica. Nel 1999  fonda l'Associazione Il Trillo che cura bambini con diverse disabilità, anche a attraverso la musicoterapia. Ogni anno ritorna per due mesi e mezzo in Africa a proseguire l'attività iniziata là. Lo abbiamo intervistato proprio al rientro del suo ultimo soggiorno nel Lesotho.

Partiamo dalla malattia degenerativa che l'ha colpito da bambino: come ha affrontato l'esordio e l'avanzare di questa patologia che l'ha condotto progressivamente alla cecità?
Sono cresciuto in una famiglia dove eravamo 5 fratelli, di cui tre hanno avuto problemi alla vista. La diagnosi di retinite pigmentosa è arrivata quando avevo 5 anni, ma allora non mi rendevo conto bene della mia situazione. Intorno ai 10-15 anni non vedevo certe cose, da adolescente ero già gravemente ipovedente. Il periodo in cui un po' vedevo e un po' no, in realtà è stato più pesante di quello successivo. Quando a 22 anni non ho visto più nulla è stata quasi una liberazione, era venuta meno l'incertezza.
Come ho vissuto tutto questo? Posso dire che non ho mai avuto momenti di disperazione, di base avevo dentro di me una fiducia: "Va bene così". Mi sentivo connesso con ogni cosa, con la natura, con il cielo. Sentivo che c'era qualcosa di grande che mi proteggeva. A quell’epoca non era Dio, ma solo "qualcosa", con il tempo ho scoperto che era un'esperienza spirituale. Fin da piccolo avevo la consapevolezza che la mia vita sarebbe stata diversa.
Certo mi dispiaceva non poter fare alcune cose, come ad esempio andare con il motorino, sciare liberamente, andare in discoteca con gli amici. Ma avevo una fiducia di fondo.
Inoltre i miei genitori hanno aiutato molto sia me che i miei fratelli a diventare autonomi, a superare gli ostacoli, a vederli come qualcosa che ti fa diventare abile nella vita e anche a convivere con un po' di ignoranza della gente.
Attraverso la mia disabilità ho imparato il coraggio di vivere la vita così com'è e di chiedere aiuto.

L'idea di andare in Africa come le è venuta?
Ho lavorato come fisioterapista in Svizzera fino al ‘97, poi ho sentito il bisogno di lavorare in situazioni molto esistenziali, con problemi elementari. A quel tempo stavo avendo un successone a livello professionale, potevo insegnare in America e in Australia, avevo soldi, era tutto bello, ma una cosa non tornava: mi sembrava impossibile essere già arrivato dove di solito si arriva alla fine della vita lavorativa. Allora ho pensato di andare in Africa, come sognavo da bambino. Sono andato nel Lesotho (dove ero già stato per un breve periodo nel 1981), e sono rimasto lì 3 anni. In Africa ho sperimentato che la vera gioia non sono i soldi, ma l'entusiasmo nel proprio lavoro. Guadagnare troppo diventa una barriera per la vita.


L'Africa per un non vedente... non è un luogo difficile?
In realtà non è così, in Africa non si cammina da soli, è normale fare la strada insieme e quindi per un non vedente è quasi più facile.

Al ritorno da quell'esperienza si è trasferito in Italia...
Sì, sono venuto a vivere qui a Poppi dove avevo degli amici, perché non potevo tornare a Zurigo dopo un'esperienza come questa. Volevo restare nella natura. Inoltre per un non vedente vivere in campagna è più facile, non ci sono i pericoli del traffico, i rumori... Ora trovo che mi fa bene andare in città, ma penso che è più bello vivere in campagna e andare in città, che vivere in città e andare in campagna.

Vive in un eremo all'insegna dell'essenzialità, non le mancano le comodità?
Essenzialità significa andare all'essenza, levare le cose che sono all'esterno e non mi fanno sentire la mia vita. Mi piace avere poco nella mia casa, solo quello che serve per vivere bene e sano. Faccio esperienza di Dio attraverso la vita, le persone, la natura.

In Africa continua ad andarci...
Dopo quell'esperienza sono ritornato in Africa due mesi e mezzo ogni anno. Dopo la mia partenza è importante che il lavoro lo porti avanti chi è là.  In Africa lavoro e insegno in ospedali, centri per anziani, comunità rurali. C'è un bisogno enorme, pensi che su 1.800.000 abitanti ci sono solo 8 fisioterapisti diplomati, mentre in Italia sono ben 50.000...

A Poppi ha fondato l'associazione Il Trillo che cura piccoli pazienti con disabilità motorie, ritardi nello sviluppo, disturbi nel comportamento, utilizzando, oltre alla fisioterapia,  i suoni della natura e gli strumenti musicali. Ci può parlare di questa esperienza?
Nella mia vita c'erano già la natura e la fisioterapia, sentivo il bisogno di inserire anche l'arte, volevo includere l'arte  come un linguaggio che va oltre la parola. La musica permette di fare questo e offre la possibilità di esprimersi anche a chi non può usare la parola. Inoltre attraverso la musica possiamo fare tante altre cose: ad esempio con una musica tranquilla si può sciogliere il corpo dalla spasticità e consentire il movimento. Vediamo che i piccoli con paresi cerebrali infantile spesso si annoiano quando devono eseguire gli esercizi per migliorare le funzioni motorie e così si rifiutano di farli. Nel contesto ludico della musicoterapia, invece trovano lo stimolo ad eseguire gli stessi movimenti.
Attraverso l'associazione Il Trillo in 15 anni abbiamo seguito 110 bambini con le loro famiglie, quasi tutti della zona del casentino.

Il rapporto con la natura è un elemento fondamentale della sua vita...
Sono cresciuto in montagna sulle Alpi svizzere. La natura per me era una seconda madre e i genitori ci lasciavano molto liberi... La natura dà pace, serenità. Vado spesso nei boschi e ho imparato a riconoscere tutti gli animali che li abitano e a leggere i loro segni. Mi piace aiutare gli altri  a scoprire la bellezza della natura e i poteri curativi delle piante.




E veniamo ai percorsi di notte nel bosco...
Accompagno gruppi di adulti o di bambini nel bosco a scoprire i suoni della natura. Si parte al tramonto e si va nel bosco senza torce. Man mano che si entra nel buio si aprono le orecchie. Si ascolta l'allocco che chiama, il grido della volpe, ci si tiene per mano e si impara a fidarsi. Si impara a prendere contatto con la bellezza della natura. Si superano le paure, ad esempio quella dei lupi e delle serpi.

Non semplici escursioni, ma esperienze di vita, dunque...
Questi percorsi sono un aiuto ad avere un contatto reale con la natura. Ad esempio nel vedere un lupo siamo condizionati dalla fiaba di Cappuccetto Rosso, ma la realtà è ben diversa. In questi itinerari si impara a convivere con la presenza dei lupi. Sappiamo che i lupi sono attorno a noi e loro sanno che noi ci siamo, ma rarissime volte li abbiamo incontrati. Anche la paura delle serpi è irrazionale. Nella natura in questi casi faccio un passo indietro, mi metto ad osservare, allora magari mi accorgo che la serpe di sta godendo il sole. Imparo a diluire l'emozione e a riflettere.
Posso dire che in questi 20 anni non c'è mai stato un incidente, non abbiamo mai avuto incontri infelici con gli animali. Si impara a fidarsi della volpe, del cinghiale, del daino, del lupo, a credere in una convivenza pacifica. In alcuni momenti ci si tiene per mano e questo affidarsi fa bene alle persone.
Allora molti che credevano di avere paura del buio, si ritrovano a camminare serenamente ed è capitato che invece di tornare alle 23.30 siamo rientrati alle 2. A volte con i gruppi si passa la notte nel bosco o si parte il venerdì sera e si torna la domenica.

Un non vedente che fa da guida a persone che ci vedono… uno strano paradosso, non le pare?
In realtà durante il giorno è il non vedente ad avere dei problemi, ma la notte i problemi li ha chi vede. Chi è non vedente non è luce dipendente. Durante la notte il vedente non vede più, mentre il non vedente vede: c'è un'inversione.

A Quorle c’è  anche la possibilità di partecipare anche a momenti di riflessione, di silenzio e incontro con se stessi…
Sì, qui siamo nel cuore di uno spazio di campagna viva, una campagna che tiene a distanza i rumori della città, perché siano libere le voci della natura e quelle degli uomini. Attraverso un lavoro di ristrutturazione abbiamo recuperato tutta l'area che circonda la piccola chiesa di santa Margherita e creato un luogo di accoglienza per i gruppi, con spazi comunitari, la cucina e una piccola cappella e poi vi sono tre piccoli eremi, dove chi vuole può vivere un periodo di silenzio, di raccoglimento, di incontro con sé stesso e con la natura disponendo di ciò che basta: un letto, un angolo cottura, uno spazio per scrivere e leggere, un bagno. Ma gli spazi della fraternità sono anche all'aperto: il giardino e l'orto sono l'annuncio che già da qui l'uomo riapre il suo dialogo creativo con la natura.
La vita di Quorle è vita semplice, scandita da ritmi sani, con la sveglia che arriva presto per godersi l'alba e permettere al giorno di offrire spazi per il silenzio, per il lavoro, per la condivisione. Niente radio o tv, la linea del cellulare è faticosa; in compenso si può ascoltare il canto degli uccellini, o scorgere una volpe o una lepre nel campo di fronte, o godere del profumo di un buon pomodoro appena colto nell'orto. L'invito è quello di abbandonarci fiduciosamente alla realtà che ci circonda, a scoprire Dio attraverso la vita, colta nelle sue piccole espressioni quotidiane.




di Marcella Codini (da www.lisdhanews.it)