Cofondatrice di Nomadelfia, prima "mamma di vocazione"
Nata a Mirandola, in provincia di Modena, il 6 febbraio 1923, Irene è morta domenica a Roma dove ormai viveva stabilmente dagli anni Settanta nella casa donata ai nomadelfi da Paolo VI.
Irene aveva appena 18 anni, non era all’epoca nemmeno maggiorenne, quando nel 1941 iniziò a seguire don Zeno e si presentò al proprio vescovo con due ragazzi abbandonati: «Non sono nati da me – spiegò –, ma è come se li avessi partoriti io». Il vescovo benedisse la giovane liceale e la sua maternità non dalla carne o dal sangue, ma dallo spirito e dalla volontà.
Da quel momento, Irene ha donato la sua maternità a 58 figli oltre ad occuparsi per mezzo secolo dei rapporti con la Santa Sede e con lo Stato italiano, incontrando in questo lungo periodo Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e in particolare Giovanni Paolo II.
Nomadelfia è un popolo di volontari cattolici che vuole costruire una nuova civiltà fondata sul Vangelo, sul modello delle prime comunità cristiane. Tutti i beni sono in comune, non esiste proprietà privata. Non circola denaro, si lavora solo all'interno senza essere pagati. Le famiglie sono disposte ad accogliere figli in affido.
In Nomadelfia vivono attualmente una cinquantina di famiglie. Vi sono famiglie di "mamme di vocazione" e di sposi. Le mamme di vocazione sono donne che rinunciano al matrimonio per vivere una maternità virginea e accogliere ed educare minori abbandonati come veri figli, per sempre.
Anche gli sposi sono disposti ad accoglierli con lo stesso spirito.
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