san Paolo

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D’improvviso lo avvolse una luce dal cielo (At 9,3)

mercoledì 24 ottobre 2012

Un'enorme insoddisfazione


"Uno perde il contatto con Dio quando si preoccupa del denaro.
Dio ce ne scampi! E meglio morire. 

Che cosa si può fare con il denaro di troppo? Metterlo in banca? 

Non dobbiamo mai prendere l'abitudine di preoccuparci del futuro. 
Non ce n'è ragione. Dio è qui! 

Con il desiderio del denaro viene anche il desiderio 
di ciò che con il denaro si può acquistare: 
cose superflue, begli alloggi, ghiottonerie a tavola, numerosi vestiti, bazzecole. 
I nostri bisogni aumenteranno, perché una cosa tira l'altra. 
E il risultato sarà un'enorme insoddisfazione".

Madre Teresa 




                         SIRACIDE 29, 9-13. 31, 1-4

9Per amore del comandamento soccorri chi ha bisogno,
secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote.
10Perdi pure denaro per un fratello e un amico,
non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra.
11Disponi dei beni secondo i comandamenti dell'Altissimo
e ti saranno più utili dell'oro.
12Riponi l'elemosina nei tuoi scrigni
ed essa ti libererà da ogni male.
13Meglio di uno scudo resistente e di una lancia pesante,
essa combatterà per te di fronte al nemico.


1 L'insonnia del ricco consuma il corpo,
i suoi affanni gli tolgono il sonno.
2Le preoccupazioni dell'insonnia non lasciano dormire,
come una grave malattia bandiscono il sonno.
3Un ricco fatica nell'accumulare ricchezze,
e se riposa è per darsi ai piaceri.
4Un povero fatica nelle privazioni della vita,
ma se si riposa cade in miseria.
5Chi ama l'oro non sarà esente da colpa,
chi insegue il denaro ne sarà fuorviato.
6Molti sono andati in rovina a causa dell'oro,
e la loro rovina era davanti a loro.
7È una trappola per quanti ne sono infatuati,
e ogni insensato vi resta preso. 



martedì 23 ottobre 2012

Destinazione universale dei beni


PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

COMPENDIO
DELLA DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA


III. LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI

a) Origine e significato

171  « Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità ».360

Tale principio si basa sul fatto che « la prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gen 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana ».361

 La persona, infatti, non può fare a meno dei beni materiali che rispondono ai suoi bisogni primari e costituiscono le condizioni basilari per la sua esistenza; questi beni le sono assolutamente indispensabili per alimentarsi e crescere, per comunicare, per associarsi e per poter conseguire le più alte finalità cui è chiamata.362

172 Il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all'uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell'uso comune dei beni è il « primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale » 363 e « principio tipico della dottrina sociale cristiana ».364

Per questa ragione la Chiesa ha ritenuto doveroso precisarne la natura e le caratteristiche.
Si tratta innanzi tutto di un diritto naturale, inscritto nella natura dell'uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica; inoltre, tale diritto è « originario ».365

Esso inerisce alla singola persona, ad ogni persona, ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale: « Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa [destinazione universale dei beni]: non devono quindi intralciarne, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria ».366

173 L'attuazione concreta del principio della destinazione universale dei beni, secondo i differenti contesti culturali e sociali, implica una precisa definizione dei modi, dei limiti, degli oggetti. Destinazione ed uso universale non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti. 

Se è vero che tutti nascono con il diritto all'uso dei beni, è altrettanto vero che, per assicurarne un esercizio equo e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali e internazionali, ed un ordinamento giuridico che determini e specifichi tale esercizio.

174 Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell'economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista né l'origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva.

La ricchezza, in effetti, presenta questa valenza nella molteplicità delle forme che possono esprimerla come il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, guidato dall'inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini, e impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento.

175 La destinazione universale dei beni comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, « in cui ciascuno possa dare e ricevere, ed in cui il progresso degli uni non sarà un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento ».367

Questo principio corrisponde all'appello incessantemente rivolto dal Vangelo alle persone e alle società di ogni tempo, sempre esposte alle tentazioni della brama del possesso, a cui lo stesso Signore Gesù ha voluto sottoporsi (cfr. Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) per insegnarci la via per superarle con la Sua grazia.



360Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090.
361Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 831.
362Cfr. Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199-200.
363Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 525.
364Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988) 573.
365Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199.
366Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268.
367Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 90: AAS 79 (1987) 594.

lunedì 15 ottobre 2012

Il giovane ricco

La vita eterna e il dono



Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro 
e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: 
«Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?»
Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 
Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, 
non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». 

Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 
Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: 
«Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, 
e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 
Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; 
possedeva infatti molti beni.

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: 
«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 
I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; 
ma Gesù riprese e disse loro: 
«Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 
È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, 
che un ricco entri nel regno di Dio». 
Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?».
Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: 
«Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato 
casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi 
per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, 
in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, 
insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» 
Marco 10,17-30


Commento di don Fabio Rosini
(trascrizione mia) 
Questa è la Parola che la Chiesa ci ha dato in questa domenica 14 ottobre 2012
per poter illuminare la nostra vita.
Questo dramma, questa sfida, questo trauma 
di un ragazzo che chiede di avere la vita piena,
che entra in un dialogo con Gesù Cristo e ne uscirà male, per così dire, 
ne uscirà triste, non avrà un buon esito,
è un dramma con cui ci dobbiamo confrontare tutti.  
Il commento finale di Gesù e la reazione costernata dei discepoli
evidenziano questo fatto: i discepoli hanno compreso infatti che 
non c'è nessuno che si salva se ha ricchezze, 
non c'è nessuno che possa essere salvato!
Qui si tratta proprio della salvezza
non è possibile la salvezza senza passare per questa Parola. 


Ecco la chiave per entrare in questa realtà:
è possibile entrare nel regno di Dio con dei beni? No.  
E' proprio impossibile, ma è impossibile fisicamente,
perché il regno di Dio è oltre una soglia 
che da ultimo è la morte.
Oltre quella soglia non si passa con niente,
non si porta niente nel regno dei cieli.

Ma questo si vive già in questa vita,
già in questa vita noi sperimentiamo che per entrare nella vita
da figli di Dio, dobbiamo lasciare quello che ci prende il cuore, 
che ci afferra, che ci incatena su questa terra.

Ma non è una questione di alcuni che sono talmente speciali
che vengono chiamati a una vita straordinaria,
alla vita della consacrazione: non si entra in un matrimonio
se uno non lascia la vita vecchia, non si entra in una 
vera amicizia se uno non lascia il possesso che è estraneo
alla vera amicizia.

Possiamo pensare ad esempio a San Francesco, il quale diceva che
non è che da una parte c'è l'amore e dall'altra parte, 
come suo contrario c'è l'odio, no! Da una parte c'è l'amore
e dall'altra parte il suo contrario è il possesso.  
Perché l'amore è il dono, non è possibile amare e tenersi qualcosa.
Amare veramente e tenere per se qualcosa è impossibile,
non si può fare

Come può fare un uomo ad amare una donna per tutta la vita
se non gli dà tutto ciò che è e tutto ciò che ha, se non è per lei,
se non è in funzione della donna che ama?

Come fa un uomo ad essere un buon padre
se non si gioca tutto per il suo ruolo paterno,
se non sa mettere tutto seccondo al suo ruolo paterno?

In effetti, in ogni relazione capiamo abbastanza velocemente
qual'è la priorità: possiamo avere una relazione di possesso, strumentale,
dove mi avvicino all'altro in fondo per avere qualche cosa,
oppure mi avvicino all'altro per avvicinarmi all'altro

Infatti questo tale, cui Gesù fa la sua proposta, 
comincia con un problema di possesso: avere la vita eterna  
Questo uomo pensa di avere sempre qualcosa, è come tutti noi:
siamo poveri, minacciati, fragili e la nostra prima tendenza,
il nostro orientamento naturale è pensare che 
attraverso il possesso di qualche cosa 
risolveremo la nostra profonda incertezza, la nostra profonda insicurezza.
E è arrivare ad avere qualcosa che ci permette 
di garantirci vivi, darci per sicuri.
       


E questo è il nostro inganno!
Perché noi siamo invece solamente quando stiamo insieme agli altri,    
noi siamo solamente quando amiamo qualcuno, 
quando siamo in relazione, altrimenti possiamo anche stare 
in mezzo a tante persone - infatti il dramma di quest'uomo
sarà questo: lui ha obbedito a tutti i comandamenti,
ma non ha la vita eterna, per questo la chiede in ginocchio,
perché pur avendo fatto tutto quel che doveva fare, 
non è entrato veramente in relazione con nessuno,
non ha avuto soprattutto una relazione con l'Unico 
con cui bisogna veramente avere una relazione 
e quindi da questo partiranno tutte le altre relazioni in una maniera splendida.

Infatti Gesù gli propone un'altra strada:
anziché avere, dare.
Ma il problema non è semplicemente dare:
"se vuoi avere la vita eterna, dai tutto quello che hai"...
E' molto più importante che questa è solo una premessa:
"vieni e seguimi!" SEGUI ME.
Come potremmo noi avere il Signore Gesù Cristo
se gli mettiamo prima qualcos'altro?
Come potremmo essere dietro a Lui,
se dobbiamo andare pure dietro a qualcun'altro?

Ci sono molte cose che sembrano dare quello che Cristo dà.
Molti idoli di questo mondo sembrano fornire quella cosa che stiamo cercando,
ma solo Gesù Cristo la dà, perché è l'unico che ha l'eternità,
l'unico che ha vinto il nulla, l'unico che ha sfondato il muro della morte,
l'unico che ci può dare la pienezza, l'unico con cui possiamo entrare in relazione
vincendo tutte le nostre paure.
Ma non possiamo seguire altre cose!

Questo problema della ricchezza e del possesso
è un problema quotidiano di tutti noi,
perché ogni giorno, anche se abbiamo fatto mille volte la scelta giusta
di seguire il Signore Gesù Cristo, l'abbiamo fatta bene
e abbiamo tanti risultati, tanta gratitudine nel cuore e tanti riscontri,
anche se siamo nelle vette dell'avventura cristiana,
ogni giorno rimettere Dio al centro implica una perdita,
implica uno spossesso necessario, implica un lasciare
non qualcosa, ma tutto, il che passa prima di tutto
per la relazione con le cose, che è la cosa più facile,
perché lasciare le cose in fin dei conti è facile:
è lasciare i progetti e le affezioni che è molto più difficile e complicato.




In realtà la strada che Gesù propone a quest'uomo
comincia col lasciare le cose che è facile lasciare 
perché sono oggettive: le prendi, le vendi, le dai, l'hai fatto,
anche se il tuo cuore deve maturare, anche se la tua vita interiore 
deve ancora essere addestrata molto più seriamente:
poi comincerà il tuo seguirmi, prima di tutto stacca da qualche cosa.

La cosa non è tanto difficile, è proprio impossibile,
lasciare tutto per seguire il Signore Gesù Cristo 
è impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio,
perché tutto è possibile presso Dio.
Infatti Pietro, sorpreso, dirà: ma noi l'abbiamo fatto!
Infatti l'abbiamo fatto... Stando con te lo abbiamo fatto,
abbiamo lasciato tutto, perché è vero: 
ci sono cose che non possiamo fare da soli.

Nessuno vuol lasciare divertimenti, comodità, beni,
finché non scopre che può stare con Dio
per vivere questa libertà deve  stare presso Dio,
a partire dal fatto che noi cominciamo ad aprire il cuore
e a dialogare con lui, a stare con lui,
infatti Gesù lo amò a questo ragazzo, cioè stabilì una relazione con lui,
senza di ché lasciare i beni per obbedire a un codice, 
a dei comandi, a delle cose che dobbiamo farle perché sì,
sarebbe una porcheria inaccettabile che non ci porterebbe da nessuna parte.




Il problema vero è avere un rapporto con il Signorre Gesù Cristo,
perché Lui è cento volte tanto, tutto ciò che lascerai
sarà sempre niente a confronto di quello che Lui ti darà,
e che è la qualità della vita, perché con lui tutto diventa il centuplo,
con Lui hai tutto, perché tutto è in una relazione luminosa.

E' chiaro che è brutto, triste, fa male  lasciare le cose,
ma è molto peggio lasciare e perdere il nostro Signore Gesù Cristo!  

 

Quando bisogna tagliare, si colpisce Lazzaro!

Economia sociale decisiva 

(ma chi ha potere guarda altrove)

Un mondo vitale eppure sottovalutato e maltrattato. È tempo di cambiare

di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 07/10/2012

logo_avvenireMentre si continua ad annunciare e ad attendere la ripresa dall’economia “che conta”, in Italia la piccola economia sociale e civile cresce veramente.

Il variegato (e ricco) mondo cooperativo, dell’impresa sociale, del privato-sociale, negli ultimi anni ha registrato significativi successi sia in termini di occupazione, sia di Pil.

Secondo l’ultimo rapporto (in uscita) del Comitato economico e sociale europeo, il numero di lavoratori nell’economia sociale italiana dal 2002 al 2010 è aumentato di circa il 60%, e oggi occupa oltre 2.220.000 persone, contribuendo a circa il 10% del nostro Pil, valori tra i più alti in Europa. E non è poco, se pensiamo che la Fiat occupa, direttamente e con gli indotti, meno del 5% del totale dell’occupazione generata dall’economia sociale italiana.

L’economia sociale e civile è un muro maestro dell’intera economia europea, la cui anima è ancora la cooperazione (un’anima che presto potrebbe perdere se non inverte la deriva di omologazione alle imprese capitalistiche, e ai loro livelli di remunerazione dei top manager).

La cooperazione ha offerto in questi due ultimi secoli un contributo fondamentale al modello europeo di economia di mercato, che è diverso da quello statunitense o cinese anche per il peso che hanno in esso la dimensione sociale e la mutualità, espressione del principio di fraternità e delle sue radici cristiane e cattoliche.  

L’economia sociale, poi, oltre ai posti di lavoro crea inclusione e riduce la diseguaglianza, la malattia più grave delle nostre economie capitalistiche.  



La buona crescita dell’economia sociale oggi si sta, tuttavia, fermando.
E questo per due principali ragioni: i tagli al welfare e l’accesso al credito.

I tagli e l’inasprimento della tassazione stanno colpendo duramente l’economia sociale.
Molte di queste imprese, occupandosi direttamente di beni meritori come la cura e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, vivono grazie a un’alleanza complessa con famiglie, società civile, imprese e pubblica amministrazione.  

Il “patto di stabilità” colpisce in Italia poco o affatto i ricchi mentre rischia di essere devastante per l’economia sociale e civile, che non ha dalla sua parte i poteri forti che trattano e negoziano nei luoghi che contano.  

E così quando bisogna decidere dove tagliare si colpisce Lazzaro, e si lascia prosperare il “ricco epulone” con le sue rendite – continuo ad essere allibito, e in certi momenti sdegnato, per la perdurante incapacità di chi regge il timone in Italia e in Europa di capire che il vero “nemico” delle nostre economie e delle nostre società sono le rendite, non i veri imprenditori che continuano a essere trattati come potenziali evasori, mentre i rentiers ringraziano, sorridendo.



C’è poi il problema del credito alle imprese, come ha ricordato con forza anche il presidente Monti. Tra queste imprese che non hanno adeguato accesso al credito, e quindi soffrono e muoiono (falliscono le imprese ma, non dimentichiamolo mai, continuano a morire anche imprenditori e lavoratori), ci sono le piccole e medie imprese e ci sono anche le imprese sociali.

Queste, se misurate con i parametri di Basilea e della finanza speculativa, risultano spesso inaffidabili – anche perché questi parametri non sono stati pensati per le piccole e medie imprese, e tantomeno per le imprese sociali. Peccato che in realtà, al di là degli algoritmi, i dati veri ci dicono che queste imprese sono molto più affidabili di tante multinazionali con ottime certificazioni di bilancio, perché la vera fiducia (quella che poi viene ripagata e crea sviluppo) nasce dai territori, e la può concedere solo chi vive in essi, a contatto con la gente, e non in lontani centri decisionali di fronte agli schermi dei pc.

Le Banche di credito cooperativo, e altre banche più attente alla dimensione etica e al mondo non profit, già fanno molto, ma non basta. Occorre fare di più e meglio.  

Oggi il sistema bancario è troppo malato e intossicato da anni di gestione sbagliata per poter compiere le scelte giuste nel concedere credito. Troppi dirigenti bancari hanno perso il contatto con le imprese vere, con i volti della fatica e del lavoro, e quindi non sanno più distinguere le garanzie vere da quelle finte e di carta, e sbagliano continuando a non concedere credito a chi lo merita e ne ha vitale bisogno, e magari a erogarlo a chi non lo merita e produce danni. E così non crescono né le buone imprese né la buona banca. Che fare?



Occorre riportare il sistema bancario alla sua funzione di interesse pubblico.
Questa crisi dovrebbe produrre una riforma radicale del sistema bancario (che di fatto ancora resta quello pre–crisi). Una riforma che, oltre a fissare una chiara distinzione tra banche d’affari e banche ordinarie, dovrebbe prevedere una maggiore prossimità territoriale del processo decisionale, e, tra l’altro, far sì che nei Cda delle banche siedano rappresentanti veri della società civile, riportando così i territori nelle banche e le banche nei territori.

A chi rispondono oggi i Cda delle banche? Ai soci? Ai fondi di investimento?
Peccato che siano state quasi tutte “salvate” o, comunque, puntellate con soldi pubblici, cioè dei cittadini, e a questi debbono tornare prima di tutto a rispondere.

Riportando i territori e la gente nelle banche, e le banche nei territori, si renderebbe efficace e concreto quel “principio di sussidiarietà” che sta alla base dei trattati politici europei e che, però, le istituzioni e i trattati finanziari stanno tradendo. La politica economico–finanziaria europea è infatti basata su una “sussidiarietà a ritroso”: le scelte si fanno a Francoforte e a Bruxelles e poi si applicano come dogmi nelle realtà nazionali e locali, operando così un ribaltamento e un tradimento grave della sussidiarietà, cui stiamo assistendo in modo troppo passivo.

Per cambiare tutto ciò, e far continuare a crescere l’economia sociale, e con essa le tante buone imprese e banche territoriali che continuano a sostenere l’Italia, ci sarebbe bisogno di una forza delle idee e delle istituzioni che non si intravvedono né in Italia né in Europa. Ma possiamo e dobbiamo continuare a desiderarla, volerla, chiederla. Per ottenerla.

sabato 13 ottobre 2012

Catechesi del Cammino Neocatecumenale

Parrocchia di San Bernardo a Centocelle

"Ecco: sto alla porta e busso. 
Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, 
io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me". 
(Ap 3,20)




24 anni fa, prima di incontrare la Chiesa Cattolica
attraverso le catechesi del Cammino Neocatecumenale
ero finito in una specie di vicolo cieco
Era il 1988 e avevo 17 anni.

Da un po’ di tempo ero come disorientato e depresso
perché non avevo strumenti per reagire 
alla crisi dei miei genitori,  
della società che mi circondava 
e di quella mia personale
tanto che spesso non vedevo più alcun senso nella mia vita.  
Ero diventato come una specie di Zombie
un “dead man walking”, 
perché mi sentivo morto dentro 
e mi lasciavo vivere andando alla deriva: 
se non fosse intervenuto Cristo, 
avrei fatto prima o poi una brutta fine, 
sarei stato forse un barbone o un suicida.

Mi portavo dietro le conseguenze di ferite che nessuno aveva mai medicato 
e che neppure io vedevo né capivo bene, 
come il rifiuto e il bullismo che avevo subìto 
dapprima dai nuovi compagni della scuola elementare 
e poi qualche anno dopo da mio fratello maggiore 
con la cerchia dei nostri amici sotto casa, 
il senso di abbandono e di incomprensione da parte dei miei genitori 
e la tremenda vergogna e l'oscuro senso di colpa 
per la schiavitù compulsiva della masturbazione e della pornografia.

Perciò mi disprezzavo terribilmente, 
non mi sentivo per niente stimato dagli altri 
ed ero molto chiuso in me stesso: 
non vedevo la mia bellezza come opera di Dio, 
il fatto che sono prezioso ai suoi occhi,
la possibilità di fare qualcosa di buono nella mia vita
ero un complessato, mi sentivo incapace e inferiore agli altri.
Inoltre non riuscivo più a studiare 
e stavo andando incontro a una bocciatura,
per non parlare del fatto che non avevo ancora una ragazza 
alla veneranda età di 17 anni, 
che non ero capace di relazionarmi con il sesso femminile 
e non dico che ero vergine, ma non ne avevo neppure mai baciata una!!!
 Così un brutto giorno tentai il suicidio, come si dice. 

Non sapevo quel che facevo.
Presi tranquillanti e medicine che trovai nell'armadietto di casa
e mi sdraiai sul letto con il mio idolatrato Sting nelle orecchie,
aspettando l'ora fatale in cui tutto sarebbe finito per sempre.
Ma ciò non successe.
Sentii solo una specie di bagliore interno,
una sorta di ebbrezza, poi più nulla!
Non riuscivo neppure a suicidarmi, era un altro fallimento...
Mi fruttò solo una brutta intossicazione 
per cui per un mese andai in bagno ogni cinque minuti.
Non ne feci parola con nessuno e andai avanti come potevo.

Poco tempo dopo, un mio compagno di scuola, Stefano Persico, 
senza sapere nulla di quanto appena detto,
mi ha invitato alle catechesi iniziali del Cammino Neocatecumenale
nella parrocchia dell'Ascensione a Quarticciolo.

Ricordo che ho accettato senza neanche discutere o pensarci tanto, 
perché non avevo proprio più niente da perdere, 
e mi hanno subito colpito la schiettezza e la sapienza straordinaria 
di quei quattro poveracci mezzi borgatari come me,
  che avevano il potere di parlare al mio cuore, 
di far luce sul perché delle mie ferite
senza giudicarmi o chiedermi qualcosa in cambio, 
di farmi capire profondamente certi aspetti della mia storia 
e anche della Storia in generale, 
col mio stesso linguaggio di tutti i giorni, col dialetto della strada… 

In quella situazione mi ha salvato già 
il semplice fatto di far parte di una comunità di fratelli
cioè la possibilità di relazionarmi con gli altri, 
di aprirmi in qualche modo e di uscire finalmente da me stesso
di vedere che anche gli altri vivevano grandi sofferenze e problemi, 
di potermi pian piano sempre più esporre senza sentirmi giudicato
col mio carico di debolezze, fallimenti e sensi di colpa. 
Ma soprattutto mi toccò profondamente il cuore 
e mi diede una luce nuova per la mia vita 
l’immagine della "Kenosis" di Gesù
cioè il suo "svuotamento", la sua "spoliazione": 
l’umiltà e la povertà di Dio erano per me una notizia impressionante 
che davvero ha rivoluzionato il mio modo di pensare e di guardare alla realtà. 
Il fatto che Cristo stesso fosse “disprezzato e rifiuto degli uomini 
è stato come un balsamo, una medicina 
per le profonde ferite del mio orgoglio 
ed era come se i rifiuti, gli abbandoni e i fallimenti che avevo vissuto 
mi avessero in qualche modo preparato, 
avvicinato e unito profondamente al Figlio di Dio, 
mi avessero arato e seminato perché potessi vivere quell’incontro con Lui. 
Il mistero pasquale era una risposta meravigliosa 
e al tempo stresso molto concreta alla mia domanda di senso, 
mentre l’annuncio del fatto che era possibile 
passare attraverso la via della sofferenza e dell’umiliazione
e che anzi proprio tutto quello che avevo sempre cercato di fuggire 
era la via della salvezza che Cristo stesso aveva percorso 
per giungere alla sua gloria
mi diedero una forza e una speranza nuove 
e la chiave per ricominciare a vivere la mia vita.
Posso testimoniare che da allora 
Cristo è sempre stato fedele alle sue promesse
e si è preso cura di me con una pazienza e un amore infinito,
mi ha educato e mi ha riempito di grazie che mai avrei immaginato,
mi ha fatto gustare la pienezza della gioia,
mi ha dato una famiglia e una comunità di fratelli,
ha spezzato le catene della mia depressione 
e ha vinto la mia chiusura.
Per cui non posso che invitarvi
 a venire e vedere,
per sperimentare personalmente
quanto è buono il Signore.



Kiko Arguello racconta la sua esperienza
La natura del Cammino Neocatecumenale 
viene definita da S.S. Giovanni Paolo II quando scrive: 
"Riconosco il Cammino Neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni"
Nella Chiesa primitiva, quando il mondo era pagano, chi voleva farsi cristiano doveva iniziare un «catecumenato», che era un itinerario di formazione per prepararsi al Battesimo. 

Oggi il processo di secolarizzazione ha portato tanta gente ad abbandonare la fede e la Chiesa: per questo è necessario un itinerario di formazione al cristianesimo.

Il Cammino Neocatecumenale non è un movimento o un'associazione, ma uno strumento nelle parrocchie al servizio dei Vescovi per riportare alla fede tanta gente che l'ha abbandonata. 

Iniziato negli anni '60 in uno dei sobborghi più poveri di Madrid da Kiko Argúello e da Carmen Hernandez, venne promosso dall'allora Arcivescovo di Madrid, Casimiro Morcillo, che constatò in quel primo gruppo una vera riscoperta della Parola di Dio ed un'attuazione pratica del rinnovamento liturgico promosso proprio in quegli anni dal Concilio. 

Vista la positiva esperienza nelle parrocchie di Madrid e di Roma, nel 1974 la Congregazione per il Culto Divino indicò il nome di Cammino Neocatecumenale per questa esperienza.

Si tratta di un cammino di conversione 
attraverso il quale si possono riscoprire le ricchezze del Battesimo.

Il Cammino si è diffuso in più di 900 Diocesi di 105 Nazioni, con oltre 20 mila comunità in 6.000 parrocchie.

Nel 1987 è stato aperto a Roma il Seminario missionario internazionale «Redemptoris Mater» che ospita giovani che hanno maturato la loro vocazione in una comunità neocatecumenale e che si rendono disponibili ad andare in tutto il mondo. Successivamente molti Vescovi hanno seguito l'esperienza di Roma e oggi nel mondo vi sono più di 70 seminari diocesani missionari «Redemptoris Mater» dove si stanno formando più di mille seminaristi. 

Di recente, in risposta all'appello del Papa Giovanni Paolo II per la nuova evangelizzazione, molte famiglie che hanno percorso il Cammino si sono offerte per aiutare la missione della Chiesa andando a vivere nelle zone più secolarizzate e scristianizzate del mondo, preparando la nascita di nuove parrocchie missionarie.