san Paolo

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D’improvviso lo avvolse una luce dal cielo (At 9,3)

venerdì 30 novembre 2012

Dignità e bellezza sì, lusso no

Nel cristianesimo bellezza sì
lusso e vanagloria no 

Conosciamo bene l’episodio evangelico in cui una donna rompe un vasetto di alabastro contenente del profumo preziosissimo e lo versa sul capo di Gesù. Giuda e altri discepoli contestano questo gesto, accusando la donna di sprecare il profumo: sarebbe stato meglio venderlo - dicono - e con il ricavato aiutare i poveri! Ma Gesù vede in quell’atto gratuito l’amore profetico per lui, avviato verso la morte, e non solo lo giustifica ma lega l’annuncio del Vangelo alla memoria di questa donna (cf. Mc 14,3-9; Mt 26,6-13; Gv 12,1-8).



Nel cristianesimo non c’è posto per il legalismo, ma occorre vivere la gratuità, la libertà e, al limite, l’eccesso di bellezza. Questo però non giustifica né l’accumulo di ricchezza né il lusso di chi vuole imporsi, farsi vedere, ostentare la propria arroganza.  
D’altronde già i profeti di Israele avevano lanciato invettive contro i re di Gerusalemme che si costruivano case sfarzose (cf. Ger 22,13-17), contro le donne che mettevano in mostra ornamenti e gioielli (cf. Is 3,16-24), contro i potenti che banchettavano lautamente ogni giorno (cf. Am 6,4-7)… 
E quando apparve Giovanni il Battista per predicare la conversione, «era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi» (Mc 1,6; Mt 3,4), come gli antichi profeti, poveri e quasi nudi; con la sua sola persona egli contestava - secondo le parole di Gesù stesso - «quelli che vestono abiti di lusso e stanno nei palazzi dei re» (Mt 11,8; cf. Lc 7,25).



I padri della Chiesa non faranno che continuare questa tradizione, estendendo la loro critica alla vita della Chiesa. Giovanni Crisostomo ricorda che «il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure» (Omelie su Matteo 50,3). Ambrogio afferma di aver «spezzato e venduto i vasi sacri per riscattare dei prigionieri» (I doveri II,28,136). Anche Bernardo di Clairvaux si fa voce della sobrietà richiesta anche a sacerdoti e vescovi, nella consapevolezza della contro-testimonianza offerta quando si privilegia l’esteriorità e l’apparire rispetto all’intensità della vita spirituale. Ma questa sua correzione fraterna non sempre è ben accolta dai destinatari: lui stesso ricorda di aver denunciato il lusso e le stravaganze anche in uomini di Chiesa, ma confessa che, «quando lo scrive in una lettera, quelli disdegnano di leggerla, o se per caso la leggono, si indignano con chi l’ha scritta» (Sermoni sul Cantico). Sì, a volte la vanità diventa una tentazione anche nella Chiesa, e per questo il Concilio ha ricordato che «i riti devono risplendere per la nobile semplicità» (Sacrosantum Concilium 34) e «le vesti e gli ornamenti sacri per la nobile bellezza» (cf. ibid. 124).

C’è uno stile assolutamente decisivo nella vita della Chiesa, lo stile che deve sempre significare la gloria di Dio nella semplicità e nella bellezza che non abbagliano, che non confondono i poveri e i bisognosi. Certamente non è facile operare delle scelte: c’è sempre il rischio di un rigidità legalistica che non conosce la gratuità né la gioia; oppure, al contrario, di un lusso incontenibile, che ricorda i palazzi dei re. Recentemente anche papa Benedetto XVI ha ripreso con forza «l’invettiva dell’apostolo Giacomo contro i ricchi disonesti, che ripongono la loro sicurezza nelle ricchezze accumulate a forza di soprusi (cfr Gc 5,1-6)» e che poi la ostentano con vanagloria.

In ogni caso, proprio al riguardo del lusso alcune vicende dei nostri giorni ci insegnano che quando c’è arroganza, sfoggio di potere, lusso senza freni da parte dei potenti, la loro fine e la devastazione possono essere molto più vicine di quanto ci si possa immaginare. Infatti - come canta il salmista - il lusso e la ricchezza sfrenata impediscono di comprendere, e così si finisce per percorrere una via mortifera, come animali condotti al macello (cf. Sal 49,21) che non capiscono cosa accade attorno a loro.

Enzo Bianchi 
(Tratto da Avvenire 30 novembre 2012)


Belle e importanti queste parole di Enzo Bianchi, per capire e discernere quello che spesso sembra una contraddizione nella vita della Chiesa e del popolo cristiano.

Ma anche forte chiamata a conversione!
Voi potenti, che sfoggiate con arroganza il lusso e i suv e gli iphone e i megaschermi e le pellicce e i corpi rifatti e le ville e le barche ecc. ecc. e che avete devastato e affamato questo meraviglioso Paese, e godete alla faccia dei più deboli, degli anziani e delle vedove cui decimate le pensioni, e delle famiglie che non si possono più permettere di sposarsi, fare figli, comprare casa: che aspettate a pentirvi? PENTITEVI! CONVERTITEVI! Verrà anche per voi il giudizio di Dio e non potrete nascondere nulla!!!
Cosa farete di fronte alla morte e alla solitudine eterna e all'eterno rimorso?
Anche se i vostri peccati fossero scarlatto, Dio è pronto a riabbracciare i suoi figli di fronte ad un pentimento sincero: convertitevi e cambiate vita, finché siete in tempo!!!
I poveri sono nelle mani di Cristo, voi siete incatenati tra le unghie del Maligno!
Ritornate alla Verità, alla Vita vera, tornate all'Amore per il quale siete fatti.
In nome di Dio, cercate la vera giustizia e rendete al nostro meraviglioso Paese la sua grande bellezza e al nostro popolo la sua dignità e cultura!



sabato 24 novembre 2012

Un sabato di festa e di solidarietà


LA NOSTALGIA DI QUELL’ABBRACCIO

Bellissimo articolo di Antonio Socci, che racconta genesi e storia del Banco alimentare in America e in Italia.
Una grande storia con molti protagonisti e una grande mano invisibile con infinita fantasia...



Un sabato di festa e di solidarietà.
Oggi si compie in Italia il più grande evento di carità del nostro Paese: la “Colletta alimentare”.

L’anno scorso 5 milioni di italiani hanno partecipato, consegnando ai 130 mila volontari (di decine di associazioni diverse), presenti fuori dai supermercati, 9700 tonnellate di cibo.

Che si sono sommate a eccedenze e donazioni confluite per tutto l’anno al “Banco alimentare”. 
In tutto 70 mila tonnellate di derrate.

Così nel 2011, attraverso 9 mila istituzioni caritative, si è dato da mangiare a 1 milione e 700 mila persone che ogni giorno si rivolgono a queste strutture di solidarietà.
Bisogna riflettere sull’enormità di questa cifra, perché si tratta di 1 milione e 700 mila persone, coi loro volti, nomi, storie, drammi umani.

In tempi di crisi, disoccupazione e impoverimento la “Colletta alimentare” è dunque un avvenimento popolare e – con il Banco - anche un fatto sociale di straordinaria importanza che dovrebbe insegnare molte cose. Pure a politici ed economisti.

Ma l’imponenza di quest’opera del volontariato non deve far dimenticare come tutto questo è nato. Ogni grande quercia infatti cresce da un piccolissimo seme, apparentemente trascurabile.

E’ una storia che inizia nel 1967. 
Siamo negli Stati Uniti. Un certo John Van Hengel, ex playboy in crisi e in difficoltà, in fuga dai problemi, finisce a Phoenix, in Arizona.

Senza meta, bussa alla parrocchia cattolica di Saint Mary, tenuta da frati francescani, e lì viene accolto. Non c’entrava niente con la Chiesa, ma era un uomo alla deriva e fu ospitato come un fratello. 
Per riconoscenza cercò subito di rendersi utile ai frati, specie alla loro mensa dei poveri.
Un giorno fu colpito da una povera donna, madre di dieci figli, che venne a chiedere aiuti, ma non il cibo. Lui si domandò: “Ma perché – con tanti figli – non chiede qualcosa da mangiare?”.
Così decide di tenerla d’occhio e scopre che lei andava nei supermercati e si faceva regalare quello che doveva essere buttato e che era ancora buono. Geniale idea.

John decise di fare lo stesso per la mensa dei frati. 
In poco tempo riempì di alimentari la stanza di una ex pasticceria. Così, quando incontrò di nuovo quella donna, le raccontò tutto e lei gli rispose con una battuta che di nuovo accese qualcosa nella sua testa: “noi poveri avremmo bisogno di una banca del cibo”.

Nacque in questo modo – e proprio con il nome suggerito da quella madre – la “Food Bank”, il primo Banco alimentare del mondo, che – essendo germogliato all’ombra della chiesa di Saint Mary - fu denominato “St. Mary’s Food Bank”.

Il nome ha un suo senso profetico. Del resto i francescani di Phoenix sapevano bene che la Madonna, a Betlemme (toponimo che significa “casa del pane”), aveva messo al mondo Colui che si definì “il pane della vita”. Colui che ha descritto così il Giudizio finale: “avevo fame e mi avete dato da mangiare…”.

Il Banco alimentare nacque dunque negli Stati Uniti dall’intelligenza e la generosità di John Van Hengel, ma presto l’idea rimbalzò e si concretizzò pure in Canada, poi in Francia e in Spagna.
“Noi” mi racconta Marco Lucchini, Direttore generale del Banco alimentare italiano “incontrammo questa esperienza nel 1989”. Per “noi” intende un gruppo di amici che fanno parte di Comunione e liberazione.
 
Ancora una volta tutto accade tramite semplici incontri umani.
“Mi telefona Giorgio Vittadini perché sapeva che io lavoravo allora in una piccola catena di supermercati. E mi dice: ‘bisogna andare a Barcellona perché Diego mi ha raccontato che là ha visto una cosa che l’ha colpito: si chiama banco degli alimenti’. Vuoi andare a capire di che si tratta?”.

Lucchini continua: “Da quel viaggio ci venne la prima spinta. Così provammo a sondare il terreno fra le aziende. Finché incontrammo una persona straordinaria, Danilo Fossati fondatore della ‘Star’, la famosa azienda alimentare”.

Fossati è il classico lombardo tutto lavoro e voglia di fare. E’ diventato un imprenditore di grande successo, ma non si accontenta della ricchezza raggiunta. Si pone domande profonde sulla vita.
Del resto ha chiamato “Star” la sua azienda in onore a sua madre che si chiamava Stella, donna di grande fede, che, pur nella povertà, era sempre lieta. Non gli sfugge il paradosso per cui lui – pur avendo successo e ricchezza – si sente invece inquieto.

“Dunque” racconta Lucchini “gli facciamo incontrare don Giussani, per conoscerci meglio. Era il 1989. Non dimenticherò mai quel giorno. Don Giussani lo abbracciò alla sua maniera, con forza e affetto, e gli disse le parole che folgorarono quell’uomo: ‘lei ha un cuore grande come sua madre’. Fossati da quell’incontro intuì che poteva vivere la stessa umanità che ricordava in sua madre. Rispose commosso: ‘qualunque cosa mi chiederà io la farò’. Don Giussani non gli chiese mai niente, perché era già accaduto tutto. Fossati aveva capito che da lì, dall’azienda dove lavorava, poteva aiutare tanta gente. Era ciò a cui aspirava, un senso diverso della sua vita”.

Ma anche coloro che erano presenti a quell’incontro e a quell’abbraccio, e che iniziarono il Banco Alimentare con l’aiuto di Fossati, restarono commossi e colpiti per sempre. Lucchini per esempio lasciò il precedente lavoro e si buttò totalmente in questa avventura.
“Da allora” confida oggi “io ho desiderato essere abbracciato tutti i giorni in quel modo e ho desiderato di poter abbracciare tutte le persone che incontravo così, ogni giorno”. 

Il Banco alimentare in fondo è stato ed è solo lo strumento per realizzare questo desiderio.
Lo è stato per i primi che lo iniziarono e oggi è lo strumento con cui migliaia di volontari e milioni di italiani, ogni anno, con la “Colletta alimentare” realizzano il desiderio di abbracciare chi è nell’indigenza e non ha neanche pane a sufficienza per sé e per i propri figli.

In fondo è lo stesso abbraccio che John Van Hengel ebbe quando bussò alla porta di quei frati francescani di Phoenix. E – andando a ritroso – è lo stesso abbraccio che ebbero quelle persone, in aperta campagna e senza cibo, a cui Gesù, “preso da compassione”, fece distribuire i due pani e cinque pesci. Che prodigiosamente si moltiplicarono sotto i loro occhi sfamando cinquemila persone.
Tutta la vita di Gesù era l’immenso abbraccio di Dio: a ciascun uomo, ognuno con la sua fame di amore, la sua sete di significato. Ognuno col suo segreto dolore.

“La Colletta” aggiunge Lucchini “è un’idea che dal 1997 abbiamo copiato dai francesi. Per coinvolgere tutti nell’opera del Banco Alimentare”.
Oggi è davvero diventata quello che desiderava don Giussani, un immenso fondo comune volontario creato dagli italiani a favore dei poveri.

E non è solo un grande gesto di carità. E’ anche la soluzione di un grave problema sociale perché migliaia di persone che hanno fame sarebbero pure un problema di ordine pubblico e di sicurezza collettiva.
“Per questo” aggiunge Lucchini “chi dona un centesimo al Banco alimentare, ha indietro dieci volte tanto”.
E’ una storia molto istruttiva. Fra l’altro spiega la grandezza di un principio – la sussidiarietà – che tutti a parole omaggiano (ma senza praticarlo).

Basta immaginare cosa accadrebbe se fosse lo Stato a doversi occupare di allestire e gestire un simile “ammortizzatore sociale” per 1 milione e 700 mila persone.
E’ lecito temere enormi problemi di sprechi, inefficienze, spesa pubblica e quant’altro? 
Anche nei casi eventuali di efficienza, una cosa sarebbe ricevere un piatto di minestra da un ufficio, per via burocratica, altra invece riceverlo con un sorriso e un gesto di fraternità in opere di volontariato e di carità.
Perché l’uomo non vive di solo pane, ma soprattutto di umanità e ideali morali. 
Così pure l’economia di mercato, come ha spiegato Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”. 
E qui comincerebbe un’altra riflessione sulla crisi economica che ci attanaglia.
Ma per oggi partecipiamo alla festa della gratuità.

Antonio Socci
Da “Libero”, 24 novembre 2012

lunedì 19 novembre 2012

Elisabetta d'Ungheria e le missioni don Bosco


La scorsa settimana si ricordava santa Elisabetta d'Ungheria, terziaria francescana.
La sua storia è un esempio mirabile e impressionante di virtù
e di amore a Cristo nei poveri.
 

Elisabetta conobbe ed amò Cristo nei poveri




Elisabetta incominciò presto a distinguersi in virtù e santità di vita. 
Ella aveva sempre consolato i poveri, ma da quando fece costruire un ospedale presso un suo castello, e vi raccolse malati di ogni genere, da allora si dedicò interamente alla cura dei bisognosi.

Distribuiva con larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori dipendenti da suo marito. 


Arrivò al punto da erogare in beneficenza i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti di valore e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri.

Aveva preso l'abitudine di visitare tutti i suoi malati personalmente, due volte al giorno, al mattino e alla sera. Si prese cura diretta dei più ripugnanti. Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre in ogni attività di bene, senza mettersi tuttavia per questo in contrasto con suo marito.


Dopo la morte di lui, tendendo alla più alta perfezione, mi domandò con molte lacrime che le permettessi di chiedere l'elemosina di porta in porta.


Un Venerdì santo, quando gli altari sono spogli, poste la mani sull'altare in una cappella del suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte le vanità del mondo e a tutto quello che nel Vangelo il Salvatore ha consigliato di lasciare. 


Fatto questo, temendo di poter essere riassorbita dal rumore del mondo e dalla gloria umana, se rimaneva nei luoghi in cui era vissuta insieme al marito e in cui era tanto ben voluta e stimata, volle seguirmi a Marburgo, sebbene io non volessi. 
Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati e gli invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili ed i più derelitti.

Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività. Alcuni religiosi e religiose constatarono assai spesso che, quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei raggi di sole.


Prima della morte ne ascoltai la confessione e le domandai cosa si dovesse fare dei suoi averi e delle suppellettili. 

Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà era tutto dei poveri e mi pregò di distribuire loro ogni cosa, eccetto una tunica di nessun valore di cui era rivestita, e nella quale volle esser seppellita. 

Fatto questo, ricevette il Corpo del Signore. 
Poi, fino a sera, spesso ritornava su tutte le cose belle che aveva sentito nella predicazione. Infine raccomandò a Dio, con grandissima devozione, tutti coloro che le stavano dintorno, e spirò come addormentandosi dolcemente.

Dalla «Lettera» al pontefice scritta nel 1232 da Corrado di Marburgo, 
direttore spirituale di santa Elisabetta.


"Voi volete umiliare le speranze del povero,
ma il Signore è il suo rifugio". Salmo 14,6





Missioni Don Bosco Nel Mondo


Da quello che sembrava un sogno oggi sono nate  
più di 3.500 case salesiane in 128 paesi del mondo.


Ovunque il bisogno chiama, là dove povertà, fame, guerre e malattie compromettono la vita di intere popolazioni, le case delle missioni salesiane rappresentano rifugi d'amore e speranza.

 http://nelmondo.missionidonbosco.org
 http://www.missionidonbosco.org
 

L'Associazione NOI PER LORO ONLUS è un'Organizzazione Non Governativa salesiana che ha come scopo istituzionale lo sviluppo dei rapporti con le aziende, al fine di favorire il sostegno di progetti e attività avviati nei luoghi di missione.

Cura la realizzazione di progetti di formazione professionale, avviamento al lavoro, educazione, alfabetizzazione, evangelizzazione, assistenza medico-sanitaria e interviene tempestivamente nelle emergenze.

Insieme per la costruzione di un mondo migliore: ecco cosa significa NOI PER LORO
Il suo nome è il suo programma: aiutare le popolazioni in via di sviluppo a diventare autonome nella propria terra.
A questo fine i missionari di Don Bosco studiano e rendono funzionanti, in collaborazione con le popolazioni indigene, articolati progetti rivolti alla soluzione dei problemi strutturali e culturali delle popolazioni dei Paesi in Via di Sviluppo.


.:. abbiamo costruito più di 5.000 opere:
  • 820 Oratori e Centri di Accoglienza giovanili
  • 534 Scuole primarie
  • 253 Scuole professionali
  • 47 Scuole agricole
  • 915 Parrocchie
  • 195 Opere Assistenziali (Asili, Dispensari per i lebbrosi, Ospedali da campo…)
  • 52 Opere speciali per assistenza ai giovani in difficoltà
 AREE DI INTERVENTO
>> Educazione e formazione scolastica
  • Corsi di alfabetizzazione
  • Corsi di studi primari e secondari
  • Costruzione di scuole
  • Fornitura di materiale didattico
>> Formazione professionale e avviamento al lavoro

PROGETTI DI EDUCAZIONE E DI FORMAZIONE PROFESSIONALE
  • Realizzazione di laboratori professionali
  • Organizzazione di corsi di formazione
  • Partnership e stage presso aziende locali e aziende straniere
  • Avviamento di progetti ad hoc sviluppati con aziende italiane e straniere
PROGETTI DI AVVIAMENTO AL LAVORO
  • Avviamento nuove imprese
  • Riconversione attività preesistenti
  • Sostegno e collaborazione con imprese locali
>> Agricoltura

PROGETTI AGRICOLI
  • Interventi nei paesi colpiti dalla guerra
  • Fornitura di sementi
  • Preparazione e lavorazione dei terreni coltivabili
  • Ricerca scientifica
>> Sanità

PROGETTI SANITARI
  • Realizzazione di ambulatori e strutture sanitarie
  • Corsi di formazione all'igiene, alla profilassi e prevenzione delle malattie
  • Interventi urgenti in caso di epidemie
  • Interventi di sostegno psicologico a favore di giovani e bambini in territorio di guerra
>> Emergenza

PROGETTI DI EMERGENZA
  • Interventi nei paesi colpiti dalla guerra
  • Catastrofi naturali
  • Carestie
http://www.noiperloro.org/DonaOra/tabid/355/language/it-IT/Default.aspx 


Accade di notte, ad Addis Abeba

Sono più di 40 mila, i bambini di strada della capitale etiopica. C'è chi dice 60 mila. Ma ci sono anche alcuni Salesiani, insieme al Vis, che cerca di riportarli a una vita normale.

 Don Angelo Regazzi e don Dino Viviani sono in Etiopia da molti anni. La loro missione è a favore degli ultimi fra gli ultimi: i 40 mila ragazzi di strada di Addis Abeba (ma c'è chi sostiene che possano arrivare a 60 mila). Per loro è stato creato il progetto “don Bosco children” e il centro che porta lo stesso nome. Nella capitale etiopica questi minori sono considerati la feccia, poco più che animali da mandare via col bastone. I due salesiani, col supporto del Vis-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, li vanno a cercare di notte, negli anfratti dove si nascondono e dormono. Per proporre loro una vita diversa. Don Angelo, in questo video, spiega come fanno a farli tornare semplicemente ragazzi. Nella foto di copertina (di Margherita Mirabella/Shoot4Change/Vis) la palestra del "Don Bosco Children" dove gli ex ragazzi di strada si esercitano nelle arti acrobatiche e di giocoleria.

http://www.famigliacristiana.it/volontariato/organizzazioni/video/etiopia-agli-estremi-confini.aspx

domenica 11 novembre 2012

Sulla proprietà privata

Come si concilia nel pensiero della Chiesa la ferma convinzione sul principio della destinazione universale dei beni con la difesa della proprietà privata?

PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

COMPENDIO
DELLA DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA

 Destinazione universale dei beni e proprietà privata

 
176 Mediante il lavoro, l'uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora: « In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l'origine della proprietà individuale ».368 La proprietà privata e le altre forme di possesso privato dei beni « assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l'autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della libertà umana. Costituiscono in definitiva una delle condizioni delle libertà civili, in quanto producono stimoli ad osservare il dovere e la responsabilità ».369 La proprietà privata è elemento essenziale di una politica economica autenticamente sociale e democratica ed è garanzia di un retto ordine sociale. La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti,370 così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di « comune e promiscuo dominio » .371

 
177 La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile: « Al contrario, essa l'ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell'uso comune, alla destinazione universale dei beni ».372 Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l'esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l'uomo e dell'intera umanità.373 Tale principio non si oppone al diritto di proprietà,374 ma indica la necessità di regolamentarlo. La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo.375


178 L'insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato,376 con il chiaro riferimento alle esigenze imprescindibili del bene comune.377 L'uomo «deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non unicamente come sue proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono essere utili non solo a lui ma anche agli altri ».378 La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari. La singola persona non può operare a prescindere dagli effetti dell'uso delle proprie risorse, ma deve agire in modo da perseguire, oltre che il vantaggio personale e familiare, anche il bene comune. Ne consegue il dovere da parte dei proprietari di non tenere inoperosi i beni posseduti e di destinarli all'attività produttiva, anche affidandoli a chi ha desiderio e capacità di avviarli a produzione.


179 L'attuale fase storica, mettendo a disposizione della società beni nuovi, del tutto sconosciuti fino ai tempi recenti, impone una rilettura del principio della destinazione universale dei beni della terra, rendendone necessaria un'estensione che comprenda anche i frutti del recente progresso economico e tecnologico. La proprietà dei nuovi beni, che provengono dalla conoscenza, dalla tecnica e dal sapere, diventa sempre più decisiva, perché su di essa « si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali ».379
Le nuove conoscenze tecniche e scientifiche devono essere poste a servizio dei bisogni primari dell'uomo, affinché possa gradualmente accrescersi il patrimonio comune dell'umanità. La piena attuazione del principio della destinazione universale dei beni richiede, pertanto, azioni a livello internazionale e iniziative programmate da parte di tutti i Paesi: « Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti — individui e Nazioni — le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo ».380


 181 Dalla proprietà deriva al soggetto possessore, sia esso il singolo oppure una comunità, una serie di obiettivi vantaggi: condizioni di vita migliori, sicurezza per il futuro, più ampie opportunità di scelta. Dalla proprietà, d'altro canto, può provenire anche una serie di promesse illusorie e tentatrici. L'uomo o la società che giungono al punto di assolutizzarne il ruolo finiscono per fare l'esperienza della più radicale schiavitù. Nessun possesso, infatti, può essere considerato indifferente per l'influsso che ha tanto sui singoli, quanto sulle istituzioni: il possessore che incautamente idolatra i suoi beni (cfr. Mt 6,24; 19,21-26; Lc 16,13) ne viene più che mai posseduto e asservito.383 Solo riconoscendone la dipendenza da Dio Creatore e finalizzandoli conseguentemente al bene comune, è possibile conferire ai beni materiali la funzione di strumenti utili alla crescita degli uomini e dei popoli.


368Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 832.
369Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 71: AAS 58 (1966) 1092- 1093; cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 103-104; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199; Id., Radiomessaggio (24 dicembre 1942): AAS 35 (1943) 17; Id., Radiomessaggio (1º settembre 1944): AAS 36 (1944) 253; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 428-429.
370Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 6: AAS 83 (1991) 800-801.
371Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 102.
372Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 613.
373Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090-1092; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2402-2406.
374Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 102.
375Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22-23: AAS 59 (1967) 268-269.
376Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 430-431; Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino- Americano, Puebla (28 gennaio 1979), III/4: AAS 71 (1979) 199-201.
377Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 191-192. 193-194. 196-197.
378Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090.
379Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 832.
380Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837.
 383Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 27-34. 37: AAS 80 (1988) 547-560. 563-564; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 843-845.

mercoledì 24 ottobre 2012

Un'enorme insoddisfazione


"Uno perde il contatto con Dio quando si preoccupa del denaro.
Dio ce ne scampi! E meglio morire. 

Che cosa si può fare con il denaro di troppo? Metterlo in banca? 

Non dobbiamo mai prendere l'abitudine di preoccuparci del futuro. 
Non ce n'è ragione. Dio è qui! 

Con il desiderio del denaro viene anche il desiderio 
di ciò che con il denaro si può acquistare: 
cose superflue, begli alloggi, ghiottonerie a tavola, numerosi vestiti, bazzecole. 
I nostri bisogni aumenteranno, perché una cosa tira l'altra. 
E il risultato sarà un'enorme insoddisfazione".

Madre Teresa 




                         SIRACIDE 29, 9-13. 31, 1-4

9Per amore del comandamento soccorri chi ha bisogno,
secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote.
10Perdi pure denaro per un fratello e un amico,
non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra.
11Disponi dei beni secondo i comandamenti dell'Altissimo
e ti saranno più utili dell'oro.
12Riponi l'elemosina nei tuoi scrigni
ed essa ti libererà da ogni male.
13Meglio di uno scudo resistente e di una lancia pesante,
essa combatterà per te di fronte al nemico.


1 L'insonnia del ricco consuma il corpo,
i suoi affanni gli tolgono il sonno.
2Le preoccupazioni dell'insonnia non lasciano dormire,
come una grave malattia bandiscono il sonno.
3Un ricco fatica nell'accumulare ricchezze,
e se riposa è per darsi ai piaceri.
4Un povero fatica nelle privazioni della vita,
ma se si riposa cade in miseria.
5Chi ama l'oro non sarà esente da colpa,
chi insegue il denaro ne sarà fuorviato.
6Molti sono andati in rovina a causa dell'oro,
e la loro rovina era davanti a loro.
7È una trappola per quanti ne sono infatuati,
e ogni insensato vi resta preso. 



martedì 23 ottobre 2012

Destinazione universale dei beni


PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

COMPENDIO
DELLA DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA


III. LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI

a) Origine e significato

171  « Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità ».360

Tale principio si basa sul fatto che « la prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gen 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana ».361

 La persona, infatti, non può fare a meno dei beni materiali che rispondono ai suoi bisogni primari e costituiscono le condizioni basilari per la sua esistenza; questi beni le sono assolutamente indispensabili per alimentarsi e crescere, per comunicare, per associarsi e per poter conseguire le più alte finalità cui è chiamata.362

172 Il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all'uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell'uso comune dei beni è il « primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale » 363 e « principio tipico della dottrina sociale cristiana ».364

Per questa ragione la Chiesa ha ritenuto doveroso precisarne la natura e le caratteristiche.
Si tratta innanzi tutto di un diritto naturale, inscritto nella natura dell'uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica; inoltre, tale diritto è « originario ».365

Esso inerisce alla singola persona, ad ogni persona, ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale: « Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa [destinazione universale dei beni]: non devono quindi intralciarne, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria ».366

173 L'attuazione concreta del principio della destinazione universale dei beni, secondo i differenti contesti culturali e sociali, implica una precisa definizione dei modi, dei limiti, degli oggetti. Destinazione ed uso universale non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti. 

Se è vero che tutti nascono con il diritto all'uso dei beni, è altrettanto vero che, per assicurarne un esercizio equo e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali e internazionali, ed un ordinamento giuridico che determini e specifichi tale esercizio.

174 Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell'economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista né l'origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva.

La ricchezza, in effetti, presenta questa valenza nella molteplicità delle forme che possono esprimerla come il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, guidato dall'inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini, e impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento.

175 La destinazione universale dei beni comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, « in cui ciascuno possa dare e ricevere, ed in cui il progresso degli uni non sarà un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento ».367

Questo principio corrisponde all'appello incessantemente rivolto dal Vangelo alle persone e alle società di ogni tempo, sempre esposte alle tentazioni della brama del possesso, a cui lo stesso Signore Gesù ha voluto sottoporsi (cfr. Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) per insegnarci la via per superarle con la Sua grazia.



360Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090.
361Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 831.
362Cfr. Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199-200.
363Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 525.
364Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988) 573.
365Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199.
366Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268.
367Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 90: AAS 79 (1987) 594.

lunedì 15 ottobre 2012

Il giovane ricco

La vita eterna e il dono



Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro 
e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: 
«Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?»
Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 
Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, 
non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». 

Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 
Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: 
«Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, 
e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 
Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; 
possedeva infatti molti beni.

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: 
«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 
I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; 
ma Gesù riprese e disse loro: 
«Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 
È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, 
che un ricco entri nel regno di Dio». 
Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?».
Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: 
«Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato 
casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi 
per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, 
in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, 
insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» 
Marco 10,17-30


Commento di don Fabio Rosini
(trascrizione mia) 
Questa è la Parola che la Chiesa ci ha dato in questa domenica 14 ottobre 2012
per poter illuminare la nostra vita.
Questo dramma, questa sfida, questo trauma 
di un ragazzo che chiede di avere la vita piena,
che entra in un dialogo con Gesù Cristo e ne uscirà male, per così dire, 
ne uscirà triste, non avrà un buon esito,
è un dramma con cui ci dobbiamo confrontare tutti.  
Il commento finale di Gesù e la reazione costernata dei discepoli
evidenziano questo fatto: i discepoli hanno compreso infatti che 
non c'è nessuno che si salva se ha ricchezze, 
non c'è nessuno che possa essere salvato!
Qui si tratta proprio della salvezza
non è possibile la salvezza senza passare per questa Parola. 


Ecco la chiave per entrare in questa realtà:
è possibile entrare nel regno di Dio con dei beni? No.  
E' proprio impossibile, ma è impossibile fisicamente,
perché il regno di Dio è oltre una soglia 
che da ultimo è la morte.
Oltre quella soglia non si passa con niente,
non si porta niente nel regno dei cieli.

Ma questo si vive già in questa vita,
già in questa vita noi sperimentiamo che per entrare nella vita
da figli di Dio, dobbiamo lasciare quello che ci prende il cuore, 
che ci afferra, che ci incatena su questa terra.

Ma non è una questione di alcuni che sono talmente speciali
che vengono chiamati a una vita straordinaria,
alla vita della consacrazione: non si entra in un matrimonio
se uno non lascia la vita vecchia, non si entra in una 
vera amicizia se uno non lascia il possesso che è estraneo
alla vera amicizia.

Possiamo pensare ad esempio a San Francesco, il quale diceva che
non è che da una parte c'è l'amore e dall'altra parte, 
come suo contrario c'è l'odio, no! Da una parte c'è l'amore
e dall'altra parte il suo contrario è il possesso.  
Perché l'amore è il dono, non è possibile amare e tenersi qualcosa.
Amare veramente e tenere per se qualcosa è impossibile,
non si può fare

Come può fare un uomo ad amare una donna per tutta la vita
se non gli dà tutto ciò che è e tutto ciò che ha, se non è per lei,
se non è in funzione della donna che ama?

Come fa un uomo ad essere un buon padre
se non si gioca tutto per il suo ruolo paterno,
se non sa mettere tutto seccondo al suo ruolo paterno?

In effetti, in ogni relazione capiamo abbastanza velocemente
qual'è la priorità: possiamo avere una relazione di possesso, strumentale,
dove mi avvicino all'altro in fondo per avere qualche cosa,
oppure mi avvicino all'altro per avvicinarmi all'altro

Infatti questo tale, cui Gesù fa la sua proposta, 
comincia con un problema di possesso: avere la vita eterna  
Questo uomo pensa di avere sempre qualcosa, è come tutti noi:
siamo poveri, minacciati, fragili e la nostra prima tendenza,
il nostro orientamento naturale è pensare che 
attraverso il possesso di qualche cosa 
risolveremo la nostra profonda incertezza, la nostra profonda insicurezza.
E è arrivare ad avere qualcosa che ci permette 
di garantirci vivi, darci per sicuri.
       


E questo è il nostro inganno!
Perché noi siamo invece solamente quando stiamo insieme agli altri,    
noi siamo solamente quando amiamo qualcuno, 
quando siamo in relazione, altrimenti possiamo anche stare 
in mezzo a tante persone - infatti il dramma di quest'uomo
sarà questo: lui ha obbedito a tutti i comandamenti,
ma non ha la vita eterna, per questo la chiede in ginocchio,
perché pur avendo fatto tutto quel che doveva fare, 
non è entrato veramente in relazione con nessuno,
non ha avuto soprattutto una relazione con l'Unico 
con cui bisogna veramente avere una relazione 
e quindi da questo partiranno tutte le altre relazioni in una maniera splendida.

Infatti Gesù gli propone un'altra strada:
anziché avere, dare.
Ma il problema non è semplicemente dare:
"se vuoi avere la vita eterna, dai tutto quello che hai"...
E' molto più importante che questa è solo una premessa:
"vieni e seguimi!" SEGUI ME.
Come potremmo noi avere il Signore Gesù Cristo
se gli mettiamo prima qualcos'altro?
Come potremmo essere dietro a Lui,
se dobbiamo andare pure dietro a qualcun'altro?

Ci sono molte cose che sembrano dare quello che Cristo dà.
Molti idoli di questo mondo sembrano fornire quella cosa che stiamo cercando,
ma solo Gesù Cristo la dà, perché è l'unico che ha l'eternità,
l'unico che ha vinto il nulla, l'unico che ha sfondato il muro della morte,
l'unico che ci può dare la pienezza, l'unico con cui possiamo entrare in relazione
vincendo tutte le nostre paure.
Ma non possiamo seguire altre cose!

Questo problema della ricchezza e del possesso
è un problema quotidiano di tutti noi,
perché ogni giorno, anche se abbiamo fatto mille volte la scelta giusta
di seguire il Signore Gesù Cristo, l'abbiamo fatta bene
e abbiamo tanti risultati, tanta gratitudine nel cuore e tanti riscontri,
anche se siamo nelle vette dell'avventura cristiana,
ogni giorno rimettere Dio al centro implica una perdita,
implica uno spossesso necessario, implica un lasciare
non qualcosa, ma tutto, il che passa prima di tutto
per la relazione con le cose, che è la cosa più facile,
perché lasciare le cose in fin dei conti è facile:
è lasciare i progetti e le affezioni che è molto più difficile e complicato.




In realtà la strada che Gesù propone a quest'uomo
comincia col lasciare le cose che è facile lasciare 
perché sono oggettive: le prendi, le vendi, le dai, l'hai fatto,
anche se il tuo cuore deve maturare, anche se la tua vita interiore 
deve ancora essere addestrata molto più seriamente:
poi comincerà il tuo seguirmi, prima di tutto stacca da qualche cosa.

La cosa non è tanto difficile, è proprio impossibile,
lasciare tutto per seguire il Signore Gesù Cristo 
è impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio,
perché tutto è possibile presso Dio.
Infatti Pietro, sorpreso, dirà: ma noi l'abbiamo fatto!
Infatti l'abbiamo fatto... Stando con te lo abbiamo fatto,
abbiamo lasciato tutto, perché è vero: 
ci sono cose che non possiamo fare da soli.

Nessuno vuol lasciare divertimenti, comodità, beni,
finché non scopre che può stare con Dio
per vivere questa libertà deve  stare presso Dio,
a partire dal fatto che noi cominciamo ad aprire il cuore
e a dialogare con lui, a stare con lui,
infatti Gesù lo amò a questo ragazzo, cioè stabilì una relazione con lui,
senza di ché lasciare i beni per obbedire a un codice, 
a dei comandi, a delle cose che dobbiamo farle perché sì,
sarebbe una porcheria inaccettabile che non ci porterebbe da nessuna parte.




Il problema vero è avere un rapporto con il Signorre Gesù Cristo,
perché Lui è cento volte tanto, tutto ciò che lascerai
sarà sempre niente a confronto di quello che Lui ti darà,
e che è la qualità della vita, perché con lui tutto diventa il centuplo,
con Lui hai tutto, perché tutto è in una relazione luminosa.

E' chiaro che è brutto, triste, fa male  lasciare le cose,
ma è molto peggio lasciare e perdere il nostro Signore Gesù Cristo!