Pasolini e Bergoglio
profeti della “colonizzazione ideologica”
«Urla,
o porta; grida, o città; struggiti, Palestina tutta,
poiché
viene un fiume da settentrione
E
ognuno si cingerà di sacchi per le sue strade
e
tutti quanti urleranno sopra i suoi tetti e nelle sue piazze,
struggendosi
di pianto» (P. P. Pasolini, “Il Vangelo
secondo Matteo”, 1:11:29-50)
Quello qui sopra
riportato è l’unico frammento di testo, che non fosse già presente nell’opera
originale dell’evangelista, introdotto ex
novo da Pasolini nel suo film Il
vangelo secondo Matteo (1964).
«La mia idea è questa: –
aveva scritto il poeta – seguire punto per punto il Vangelo secondo Matteo,
senza farne una sceneggiatura o riduzione. Tradurlo fedelmente in immagini,
seguendone senza una omissione o un'aggiunta il racconto. Anche i dialoghi
dovrebbero essere rigorosamente quelli di San Matteo, senza nemmeno una frase
di spiegazione o di raccordo: perché nessuna immagine o nessuna parola inserita
potrà mai essere all'altezza poetica del testo».
Per quanto riguarda le
omissioni, per la verità se ne trovano diverse nella pellicola, così come gli
spostamenti di frasi e pericopi, ma in effetti, a parte naturalmente la colonna
sonora, l’ambientazione e i costumi, questa strana profezia tratta da Isaia
resta l’unica aggiunta personale fatta da Pasolini al testo di Matteo. Si
tratta evidentemente di un frammento fondamentale per l’interpretazione
dell’opera, come una sorta di firma nascosta dal regista al centro del film,
per comunicare a chi abbia “occhi per vedere e orecchie per ascoltare” un
messaggio che l’autore considerava estremamente importante.
Interessante è inoltre il
modo in cui il poeta friulano introduce tale frammento, imitando una precisa caratteristica
stilistica del vangelo stesso. Matteo aveva infatti più volte utilizzato nel suo testo la
figura del compimento di una profezia dell’Antico Testamento nella vita di
Gesù, col fine di evidenziare il fatto che il figlio di Giuseppe di Nazareth
era in realtà il Messia inviato da Dio e annunciato dai profeti. Allo stesso
modo, Pasolini prende due versetti di una profezia di Isaia (14, 31 e 15, 3), li
adatta alle sue intenzioni e li attualizza annunciandone il compimento nell’Italia
del ventesimo secolo - ma oggi potremmo anche dire nell’Europa del terzo
millennio.
Nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini è dunque già contenuta tra le
righe, mediante l’immagine di una devastante inondazione proveniente dal Nord,
una anticipazione della celebre denuncia di genocidio
culturale che il geniale intellettuale avrebbe mosso nei confronti della
borghesia neocapitalistica italiana negli anni ’70, sulle pagine del Corriere della Sera, in una serie di
articoli poi raccolti in Scritti corsari
del 1975.
Pasolini aveva compreso, tramite i suoi studi linguistici e le sue assidue
frequentazioni del popolo nelle borgate romane come nel Meridione italiano, che
era in atto in maniera subdola e clandestina una distruzione e sostituzione dei
valori tradizionali della società italiana.
Si trattava di una sorta di persuasione occulta, operata principalmente
per mezzo dei mass media, in primo luogo la televisione, che aveva per effetto
una vera e propria mutazione
antropologica, con la soppressione di larghe zone della società stessa.
Il
poeta sosteneva che un tal modo di omologare il popolo ai valori della classe
dominante costituiva una nuova forma di fascismo, ancora più pericolosa: «Ecco
l’angoscia di un uomo della mia generazione che ha visto la guerra, i nazisti,
le SS. Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi
valori popolari e assorbono i modelli imposti dal capitalismo, e rischiano una
forma di disumanità, una forma atroce di afasia, una assenza di capacità
critiche, una passività, ricordo che erano le forme tipiche delle SS e vedo
stendersi sulle nostre città l’ombra orrenda della croce uncinata».
Il modello che Pasolini
vedeva essere imposto ai giovani italiani era quello di un certo edonismo
interclassista, fatto di falsa tolleranza e permessività, che imponeva
inconsciamente di adeguarsi a certi modi di vestire, di pettinarsi, di
sorridere, di atteggiarsi e di comportarsi in modo simile a ciò che si vede ad
esempio nella pubblicità o nei film. E tutto questo avveniva perché «ad un
certo punto il potere ha avuto bisogno di un diverso tipo di suddito, che fosse
prima di tutto un consumatore, e non era un consumatore perfetto se non gli si
concedeva una certa permissività nel campo sessuale».
E’ molto interessante
notare che Pasolini leggeva in questa chiave anche il risultato del referendum
sul divorzio del 12 maggio 1974: «Secondo me ai “No” ha contribuito
potentemente anche la tv, che ad esempio in questi 20 anni ha nettamente
svalutato ogni contenuto religioso. Di fatto, a prescindere dalle immagini che
abbiamo visto del Papa o dei cardinali che benedicono, ecc…, avveniva almeno a
livello inconscio un profondo processo di laicizzazione, che consegnava le
masse al potere dei mass-media e attraverso questi all’ideologia reale del
potere, dell’edonismo del potere consumistico. Per questo dico che nel “No” […]
è presente l’anima del potere borghese che vuole l’italiano un buon
consumatore, e chi accetta il divorzio lo è senz’altro».
E’ davvero impressionante
oggi giorno notare la profonda consonanza di queste parole con quelle, ad
esempio, di padre Maurizio Botta in una delle catechesi sui Cinque Passi che
tiene alla Chiesa Nuova a Roma: «Questa società non la vuole una famiglia di
sei persone. Questa società vuole sei single. Perché una famiglia di sei
persone compie un peccato capitale per questa società dei consumi: risparmia.
Sei persone in una famiglia spendono meno di sei single. E allora la famiglia è
sotto attacco, vogliono disgregarla».
Ma quello che mi ha
colpito di più, e che mi ha spinto a scrivere questo post, è aver sentito papa
Francesco parlare di colonizzazione
ideologica durante il suo viaggio nelle Filippine.
Avevo concluso nel 2003,
dopo un lungo e faticoso lavoro, una Tesi di Laurea in Storia e critica del
cinema dedicata proprio al film di Pasolini sul Vangelo, dopodiché l’avevo
messa lì da parte, pensando francamente di aver sprecato il mio tempo.
Poi ho letto queste
parole pronunciate dal papa, 50 anni dopo l’uscita del film che coincideva con
la chiusura del Concilio Vaticano II, durante l’incontro con le famiglie il 16
gennaio 2015 alla Mall of Asia Arena
di Manila: «Nel nostro tempo, Dio ci chiama a riconoscere i pericoli che
minacciano le nostre famiglie e a proteggerle dal male. Stiamo attenti alle
nuove colonizzazioni ideologiche. Esistono colonizzazioni ideologiche che
cercano di distruggere la famiglia. Non nascono dal sogno, dalla preghiera,
dall’incontro con Dio, dalla missione che Dio ci dà, vengono da fuori e per
questo dico che sono colonizzazioni. Non perdiamo la libertà della missione che
Dio ci dà, la missione della famiglia. E così come i nostri popoli, in un
momento della loro storia, arrivarono alla maturità di dire “no” a qualsiasi
colonizzazione politica, come famiglie dobbiamo essere molto molto sagaci,
molto abili, molto forti, per dire “no” a qualsiasi tentativo di colonizzazione
ideologica della famiglia [...] Mentre
fin troppe persone vivono in estrema povertà, altri vengono catturati dal
materialismo e da stili di vita che annullano la vita familiare e le più
fondamentali esigenze della morale cristiana. Queste sono le colonizzazioni
ideologiche. La famiglia è anche minacciata dai crescenti tentativi da parte di
alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il
relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita».
Durante il volo di
ritorno dalle Filippine, il 19 gennaio 2015, papa Francesco ha fatto pure un
esempio preciso di colonizzazione ideologica, usando il medesimo paragone
pasoliniano del nazi-fascismo: «Colonizzazione ideologica è lo stesso che hanno
fatto sempre i dittatori, anche in Italia con i ‘balilla’. Pensate anche alla
‘gioventù hitleriana’, a quel popolo che ha subito tanta sofferenza. Vi faccio
un esempio che ho vissuto io nel 1995: una Ministro dell’Istruzione Pubblica
aveva chiesto un prestito forte per fare la costruzione di scuole per i poveri.
Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i
bambini […] dove si insegnava la teoria del gender. Questa donna aveva bisogno
dei soldi del prestito, ma quella era la condizione...»
Si tratta di una linea di
pensiero che papa Bergoglio aveva già tracciato nell’aprile del 2014, durante
un ricevimento dei componenti dell’Ufficio Internazionale Cattolico per
l’Infanzia: «Vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione
educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non
sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo
vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti;
conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di
modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale
del “pensiero unico”. Mi diceva, poco più di una settimana fa, un grande
educatore: “A volte, non si sa se con questi progetti – riferendosi a progetti
concreti di educazione – si mandi un bambino a scuola o in un campo di
rieducazione”».
Anche questa è una frase particolarmente cara a padre Maurizio
Botta, che nel citarla a proposito dei terrificanti tentativi di introdurre
l’ideologia lgbt e gender nelle nostre scuole, è solito ricordare come se
Benedetto XVI avesse detto una frase del genere sarebbe stato pubblicamente
crocifisso dall’intera stampa mondiale.
Cinquant’anni fa Pasolini
aveva visto con lucida chiarezza l’inizio dell’invasione che all’inizio del
terzo millennio è ormai sotto gli occhi di tutti. La teoria del gender è solo
l’ultimo anello di una lunga catena che ci sta portando ad una Nuova Preistoria, a quello che alcune
correnti artistiche d’avanguardia chiamano già il post-human, ad un neopaganesimo imperante che dopo aver rifiutato
Cristo intende inventare un nuovo modello di uomo del tutto emancipato da
qualsiasi forma di autorità paterna, un uomo-isola sempre più rinchiuso in un
mondo virtuale di edonismo autoreferenziale, sempre più apparentemente libero
di scegliere e di scegliersi, ma in realtà sempre più incapace di pensare,
vivere, soffrire e donarsi.
In Italia, Francia,
Spagna, Portogallo, Grecia, insomma nell’Europa del Sud – guarda caso Paesi in forte crisi economica e fortemente soggetti al controllo e
all’influenza di quei Paesi nordici che già da tempo sembrano aver apostatato
Cristo e che non hanno voluto riconoscere le radici cristiane dell’Europa – si
sta giocando una partita decisiva per il futuro dell’umanità e del concetto
stesso di uomo.
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