san Paolo

san Paolo
D’improvviso lo avvolse una luce dal cielo (At 9,3)

martedì 16 giugno 2015

La storia di Giovanni Lindo Ferretti


Se parli di me dobbiamo fare un giro in chiesa...


Dal punk filo-sovietico dei CCCP 
al ritorno a casa nell'Appennino emiliano

Giovanni Lindo Ferretti è un cantautore, scrittore, attivista e attore, noto soprattutto per essere stato cantante e paroliere nella band CCCP Fedeli alla linea, e poi nei CSI e nei PGR
È considerato uno dei padri del punk italiano, nonché uno degli artisti più originali e significativi nell’Italia del secondo dopoguerra.

E' nato a Cerreto Alpi, il 9 settembre 1953 e cresciuto in una famiglia tradizionale cattolica.

«Sono nato in un periodo in cui la disgrazia si era particolarmente accanita contro la mia famiglia. Mio padre è morto quando mia madre ha scoperto di essere incinta. Dopo la sua morte mia madre ha dovuto mandare avanti tutta la famiglia, compresi i vecchi e i malati, ed è stato un periodo molto difficile e di estrema povertà. Sono stato allevato qui a Cerreto Alpi in una comunità tradizionale e posso dire di essere stato un bambino cattolico, felice perché amato. Crescere in una famiglia tradizionale vuol dire che non sono mai andato a catechismo: era mia nonna che si preoccupava della mia educazione religiosa. Visto che in paese esisteva una pluri-classe e lo studio non era eccellente sono stato mandato in collegio dalle suore di Maria Ausiliatrice».

Nell'adolescenza, viene attratto dall'ideologia del '68. Scrive in un suo libro: "Giovanotto sono stato succube e agente di un'ideologia falsificante che estirpava, in baldanzosa marcia, ogni legame organico".

«Fino alle scuole medie inferiori ho avuto una educazione cattolica, poi, la mia adolescenza ha coinciso con il 1968 e, in quel particolare momento storico, ho abbandonato con molta buona volontà tutto ciò che ero, tutto ciò che mi avevano insegnato. Quando sono entrato al liceo scientifico pubblico ho pensato bene di rigirare il mio mondo, di ricostruirmi nuovo. Un uomo nuovo adatto ai tempi e con grandi aspettative: un po' come uscire dalla superstizione per avviarmi verso un luminoso futuro scientifico e materialista».

«Vivevo secondo modi e ritmi che più passava il tempo più si rivelavano angusti. Senza soddisfazione. Potevo ricondurre tutte le mie scelte di vita all’impatto adolescenziale con il mondo moderno. "I can’t get no satisfaction" cantavano i Rolling Stones ed io ne fui rapito ma ero cresciuto nella tradizione cattolica, avevo imparato e sperimentato molte cose. Una primogenitura, una dote, che alla prova dei fatti si sarebbero dimostrate inalienabili. Anche nel periodo di maggior distacco dalla Chiesa cattolica, non ho mai troncato in maniera assoluta con ciò che ero prima».

Per cinque anni, prima di iniziare a cantare, è stato un operatore psichiatrico. 
«Quell'esperienza mi ha toccato profondamente, senza non avrei mai avuto il coraggio e, forse, il cattivo gusto di inventarmi cantante. Dopo aver lavorato per cinque anni come operatore psichiatrico ho pensato di aver saldato il mio debito con la società. È come se mi fossi accollato un dolore della società che, prima, era stato nascosto nei manicomi e, poi, era stato rigettato sulle famiglie e sugli operatori psichiatrici come me. Quei cinque anni mi hanno fornito un'attitudine ad accettare la vita nella sua complessità e la sofferenza che non si può evitare. Dopo così tanto disagio psichico e fisico, il fatto che io fossi diventato un cantante punk mi sembrava plausibile. Uno dei miei matti, quando tornai a trovarlo, mi abbracciò e mi disse: "Era ora che tu venissi dalla nostra parte!"».

Dopo aver lavorato cinque anni come operatore psichiatrico, decide di abbandonare l'Emilia e di viaggiare per l'Europa. A Berlino incontra Massimo Zamboni, con il quale nel 1982 fonda i CCCP Fedeli alla linea, ampiamente considerati uno dei più importanti gruppi italiani degli anni '80. Scioltisi nel 1990, nel 1992 sempre con Massimo Zamboni ed assieme al nucleo dei primi Litfiba, fonda il Consorzio Suonatori Indipendenti (CSI), scioltosi nel 2000. 

«Di sicuro ero sbandato. Dissipare la vita, per me, non è stata una questione di grandi idee ma un problema di quotidianità. La mattina mi alzavo tardi, bighellonavo, preparavo un concerto e, infine, mi esibivo sul palco. Una vita che pensavo fosse libera ma che, invece, era schiava di ogni moda stagionale...  Già prima della malattia, avevo iniziato a pensare che la vita che mi ero costruito non era di così grande interesse e gradimento come avevo immaginato e continuavo con sempre maggiore insoddisfazione pensando che occorresse cambiare radicalmente: fornire un senso alla mia vita, tornarmene a casa».




Nel momento di maggiore successo, una casa da ristrutturare e un tumore al polmone l'hanno "ancorato alla vita" e aiutato a salvarsi.

«Grossomodo tra il 1999 e il 2001, nel periodo in cui il mio gruppo musicale, i Csi (Consorzio suonatori indipendenti), è diventato troppo fortunato, sono salito sul palcoscenico, per ben due anni, con gli occhi bendati per non vedere niente e la speranza che i concerti finissero alla svelta.
La malattia che dovevo affrontare e la casa da ristrutturare, che avrebbero potuto essere considerate soltanto una doppia disgrazia, mi hanno obbligato a fare seriamente i conti con la vita e mi hanno aiutato a cambiare radicalmente la mia quotidianità. 
La ristrutturazione della casa di famiglia, dove sono nato e cresciuto, ha a che fare con un'idea che travalica la mia singola esistenza. Inizialmente, volevo rimetter mano soltanto al tetto, poi, però, è venuta un'alluvione e la casa si è riempita d'acqua. Così sono sceso alle fondamenta e non avevo abbastanza soldi. Due gravosi problemi: salvarmi la vita, non far crollare la mia venerabile dimora. Partendo da questi due dati, profondamente negativi, ho accettato la realtà e sono andato avanti, cominciando a ringraziare Dio per ciò che avevo».

Quindi avviene il ritorno alla casa di famiglia e al cristianesimo. 

«Quando sono tornato a vivere nella casa della mia famiglia, a Cerreto Alpi, c'era ancora un prete in paese. Sono andato da don Guiscardo e gli ho esposto tutti i miei problemi e i miei dubbi. Don Guiscardo mi ha risposto che non c'era molto da discutere. Ogni giorno, non solo la domenica, c'era la messa. E poi c'erano le festività durante l'anno. Ho riscoperto la dimensione al tempo stesso naturale e liturgica dell'anno solare. Tornare a casa, per me, ha significato tornare nella casa della mia famiglia e risentirmi generazione su generazione. Chi mi guarda, guarda anche mio padre, mia madre e mio nonno. È una bella responsabilità!»

In quel periodo viene colpito anche dal modo di vivere la malattia di san Giovanni Paolo II.  

«Quello che mi ha molto colpito è stato il modo in cui ha vissuto la propria vecchiaia, la malattia. L'accettarsi compiutamente nella propria forza e nella propria debolezza. Smisi di leggere quei giornali che auspicavano le dimissioni del Papa malato e iniziai ad ascoltare l'Angelus, in televisione o direttamente a Roma. Ci sono stati momenti in cui mi sembrava che quel dolore, quel viso sofferente, quella persona malata parlassero direttamente a me. Legavo quella sofferenza al dolore dei vecchi della mia famiglia, alla loro agonia. È un grande dono se un vecchio può permettersi una agonia nelle propria casa assistito amorevolmente dai propri cari. Non si possono sciupare questi momenti. È un insegnamento vitale che si trasmette alle generazioni e non si verifica in altra situazione. Il Papa, usando i media e pur essendone usato, ha fatto un dono credibile non solo al popolo di Dio ma a tutti coloro che lo hanno visto. Ha mostrato che si può morire con una grande dignità nell'accettazione del mistero della vita. La sofferenza non si può spiegare con le parole si può solo vivere e si deve mostrare come ha fatto Giovanni Paolo II».

Fondamentale però è stato il suo incontro con Ratzinger.

«Nei miei giorni di uomo, Ratzinger era l’esemplificazione ostentata di tutte le colpe della Chiesa Cattolica e della Reazione alle magnifiche sorti e progressive, summa di ogni oscurantismo ideologico, fino ad ombreggiare simpatie naziste. "Il troppo stroppia" diceva mia nonna e dopo aver letto un ennesimo articolo che lo denigrava decisi di entrare in libreria: - ma questo Ratzinger ha scritto qualcosa? - uscii con alcuni suoi testi e cominciai leggendoli un’altra tappa del mio cammino sulla terra. Avevo trovato un maestro. Ritagliai una sua fotografia, l’incorniciai posizionandola bene in vista e divenne una presenza quotidiana, familiare. Ne parlavo con gli amici, litigavo per lo più; piansi di gioia e commozione quando venne eletto al soglio pontificio. L’ho difeso sempre e mi ha fatto ridere scoprire che c’è stato un periodo in cui una clausola, a mia insaputa, era stata aggiunta ai miei contratti: è proibito parlare del Papa in presenza dell’artista. Questo perché quando sentivo parlare male di Benedetto XVI mi innervosivo oltremodo e ne nascevano liti furiose per le stupidaggini che sentivo. Naturalmente io ho cumulato molte colpe nella mia vita e accetto la stupidaggine mia e altrui. Non sono stato meno sciocco di coloro che adesso si comportano da stolti nei confronti del Santo Padre. Ma io difendo il Papa e non sono in grado di accettare certe banalità determinate da ignoranza, malafede e superficialità».

Anche nel periodo dei CCCP, Ferretti non aveva mai abbandonato la ricerca spirituale e religiosa.

«Io ad ogni modo sono religiosissimo, oltre ad essere iscritto al PCI e a fare il cantante dei CCCP. Se m'aspetto che qualcuno mi dica qualcosa me l'aspetto da un uomo di religione, non me l'aspetto da un altro. Gli altri - c'ho già pensato - non hanno niente da dirmi», dichiarava il cantante nel 1989.

«Non sono mai stato ateo e ho sempre avuto una visione carnale della dimensione della Creazione. Quando mi sono distaccato dalla Chiesa cattolica non ho abbandonato l'idea della Creazione. Per un periodo ho subito il fascino dell'islam. Poi ho iniziato a coltivare un grande amore per la letteratura e la storia ebraica - che è già quasi "un ritorno a casa" - e per un periodo di tempo ho frequentato il buddismo».

«Do­po aver cercato il senso in mille modi senza trovar­lo l'ho trovato tornando a casa. Al mio mondo di quando ero bimbo: i monti, il rosario [..] - Ma Giovanni Lindo Ferretti oggi chi è? - Nel Te Deum può scoprirlo. Sono uno che iniziò a curiosare tra i libri dell'allora cardinal Ratzinger per capire perché molti ne parlassero male. E ora che so­no tornato a casa, Benedetto XVI è il mio maestro».


Finita l'esperienza con i Cccp, con i Csi e con i Pgr (Per grazia ricevuta) chi è oggi Giovanni Lindo Ferretti: un musicista, uno scrittore o un attore di teatro?

«Direi un cantore. Porto in giro due piccoli spettacoli, ma non posso lavorare più di due o tre serate al mese perché devo accudire mia madre. Da quattro anni vado in giro con voce e violino, oppure con voce, violino, organetto e una seconda voce maschile. Ho sperimentato il piacere di uno spazio scenico non deputato ai concerti. Cortili, aie, radure. Più di cento concerti in chiesa, per quanto esibirmi in chiesa mi crei sempre un po' di timore e di imbarazzo. Questo non trova corrispondenza nel pubblico, nei sacerdoti e alla fine mi rasserena». 

«Il livello essenziale della mia dimensione pubblica è il piacere della parola, la sua musicalità, il gusto arcaico della parola. Non sono legato alle sperimentazioni o alle avanguardie del Novecento, ma sono intriso di oralità, legato ai salmi, all'epica. Credo che la parola sia il dono più grande che il Creatore ha fatto all'uomo. La parola è vita. E io, fra l'altro, vivo di parole».

E dedica la sua vita alla famiglia, alla montagna e agli amati cavalli, come ha raccontato anche al papa emerito Benedetto XVI in un recente incontro.

«Ho rimesso nelle sue mani la mia vita e tutte le persone che ne fanno parte: i concerti, la montagna, anche i cavalli; lo sconforto, la stanchezza, la gioia, la riconoscenza.
- lei è molto giovane - sorriso
- Santo Padre sono vecchio da ogni punto di vista, non fosse per la Fornero sarei in pensione - sorriso
- No, no lei è molto giovane, il suo viaggio non è ancora finito, ha molte cose da fare -.
- Santo Padre mi benedica e con me benedica i peggiori, quelli che non hanno possibilità alcuna se non nella misericordia, nella compassione, nell’amore di Dio».





Nessun commento:

Posta un commento