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D’improvviso lo avvolse una luce dal cielo (At 9,3)

lunedì 15 giugno 2015

La storia di Maurice Bignami




In carcere ho scoperto la libertà e il perdono



Ex terrorista rosso, fu condannato a trent’anni per omicidio e per aver capitanato fra il 1979 e l’81 Prima linea, formazione armata sanguinosissima nata a Firenze nel 76 da spezzoni di Lotta continua, Potere operaio e Autonomia milanese (sciolta in carcere fra l’82 e l’83). Oggi dirige una casa famiglia per anziani gestita dalla Caritas di Roma.

«Mio padre è stato uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano, ha lavorato giovanissimo per il Centro esteri del partito a Parigi, è stato segretario della Fgci di Bologna prima di essere arrestato e condannato a dieci anni di carcere dal Tribunale speciale. Comandante durante la resistenza, Commissario politico della Divisione Modena, è stato il primo rifugiato politico italiano in Cecoslovacchia, inseguito da un mandato di cattura per cosiddetti “reati partigiani”. Fin da piccolo, a Parigi, sono stato educato a una idea di militanza politica che ti impegna totalmente, non a tempo determinato o semplicemente in termini ideologici, moralistici o sentimentali. Sapevo che mio padre era iscritto al Partito comunista francese con un falso nome: Benjamin, e che la clandestinità è normale condizione di vita per chi milita nel campo operaio. Gli “zii” che frequentavano casa mia erano tutti ex partigiani e militanti delle Brigate internazionali durante la guerra civile in Spagna. Alcuni erano ancora impegnati in quella lotta e mio padre, quando se ne tornavano in patria, mi diceva: “Saluta zio Paco, non è detto che lo si riveda..“. Quando gli fu infine consentito di tornare a Bologna, nel ‘64, mi ritrovai in un Paese di cui non conoscevo la lingua (a casa, i miei parlavano fieramente il bolognese), ma nel quale potevo essere finalmente comunista alla luce del sole. Subito, aderii alla Federazione giovanile ma, pur essendo Bologna una città straordinariamente viva, politicamente e culturalmente, la militanza che mi ritrovai a vivere non somigliava che larvatamente a quella pienezza d’impegno a cui mi pareva naturale di dover corrispondere. Già nel ‘66 aderivo a Potere Operaio emiliano-veneto; poi, con i romani, fondammo Potere Operaio e nel ’74, con Negri, Autonomia operaia. Quando le Brigate rosse rapirono Aldo Moro, mi parve indispensabile frappormi al loro progetto ed entrai in Prima Linea».

Bignami 35 anni fa uccise a Milano il giudice Guido Galli. Era il 19 marzo 1980 e quell’omicidio non fu né il primo né l’ultimo del gruppo di Prima Linea di cui Bignami era uno dei capi. Poi nel 1981 l’arresto, il carcere, la dissociazione.

«Il coinvolgimento in una organizzazione armata non ha soltanto risvolti politici, dottrinali, penali, ecc, ma anche – e soprattutto, dopo un po’ – aspetti etici ed esistenziali che si fanno prioritari e le cui conseguenze ti divorano. Per dirla con Tolkien, non si possono usare le armi del nemico, specialmente quelle più sanguinarie, e non solamente perché, in quel modo, inevitabilmente lo si rafforza, ma perché ti entra dentro e ti fa simile a lui. Rinuncerei senza problemi a tutti gli anni che hanno preceduto il carcere, ma non abdicherei a un solo giorno di galera. Non per masochismo o per un bisogno irrefrenabile di espiazione, ma perché lì, in quel luogo infernale deputato per definizione alla separazione, all’alienazione, ho gustato per la prima volta cosa voglia dire essere un uomo libero. Tormentato – si può essere un ex terrorista, infatti, non un ex assassino –, pieno di dubbi e di consapevoli debolezze – era ora! –, angariato da un meccanismo di per sé infame e teso alla tua demolizione come soggetto autonomo, ma finalmente affrancato da quel sapere ideologico che mi aveva portato alle soglie della verità, e poi ributtato indietro. Quelle quattro mura hanno avuto per me la forza paradossale di esaltare la libertà, che inizia – sempre! – da “sapere di non sapere” e quindi da un’apertura mentale laicamente spregiudicata. In quel luogo ho di nuovo risentito tutte le istanze di giustizia, di bellezza, di bontà che erano al fondo incorrotto del mio cuore, erano state il motore originario del mio impegno totalizzante e ora mi indicavano qual’era il mio vero destino. Se poi ti viene concessa la grazia di sapervi dare un nome, a quel destino...»

Grazie all’incontro con sacerdoti come don Luigi Di Liegro o padre Paolo Bachelet, fratello del vicepresidente del Csm ucciso dalle Br, avviene in carcere la scoperta di Dio e un cammino di servizio per gli ultimi. Prima come portiere all’ostello per barboni della Caritas di Roma, oggi come responsabile di una casa famiglia, sempre della Caritas, per anziani in gravi difficoltà.

«Sì, mi considero fortunato. Grazie all’incontro con tanti sacerdoti ho scoperto il perdono di Dio. Poi, grazie alla lungimiranza di alcuni politici, ho avuto il perdono dello Stato. Il perdono di chi ho fatto soffrire direttamente l’ho avuto da qualcuno, da altri ancora no. Certo che lo vorrei, ma non lo pretendo. Posso solo pregare per loro». 

«Fondamentale, fu la gratuità con cui fummo guardati da cappellani come don Salvatore Bussu o da religiose come suor Teresilla ad aprirci il cuore. In loro vedemmo il Padre che abbandona le altre 99 pecore per andare indietro a quella smarrita, cioè noi».

«Io non avevo mai incontrato un prete prima del 1982. Nel momento in cui finisco in carcere non faccio che incontrare preti. All’inizio in questi incontri mi prendono a "sberle" per portarmi al pentimento. Ed è un precipitare verso il riconoscimento della propria totale e assoluta nefandezza e bisogno di perdono. E la domanda di perdono la fai a Dio. Ma questo periodo è stato brevissimo. Perché questi sacerdoti mi prendevano a "sberle" perché la smettessi di piangermi addosso. E che cominciassi, invece, a ringraziare il Signore del dono che mi aveva fatto».

«Grazie all’incontro con una suora, ha capito che la vera rivoluzione è Cristo. Padre Bachelet è stato per me un amico. Ha trasformato la sua sofferenza in un’occasione per trasformare me».

Oggi Bignami ricorda quel 13 marzo come l'Inferno.

«C’era l’inferno, il luogo in cui Dio non c’è. Dio è così attento alla tua libertà che non c’è là dove non vuoi che lui ci sia. L’inferno è il "no" assoluto. Sono stato ripreso per la collottola. Ma Dio è sempre stato vicino a me, e attendeva solo che io aprissi il mio cuore».




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