DISTRIBUTISMO O DISTRIBUZIONISMO
Il Distributismo è
un modello economico-sociale e politico
elaborato negli anni ’30 del
secolo scorso da G. K. Chesterton e Hilaire Belloc,
due esponenti di rilievo della
cultura inglese,
e poi evolutosi nel corso del tempo in aderenza ai
cambiamenti della società.
In
sintesi, il Distributismo propone
un modello di società alternativo a
capitalismo e socialismo,
rifiutando la separazione tra lavoro e
proprietà dei mezzi di produzione
sostenuta dal capitalismo
e
l’ugualitarismo massificante e lo statalismo propugnati dal socialismo.
Il
Distributismo promuove quindi la centralità della proprietà privata
e
l’unione tra lavoro e possesso dei mezzi di produzione
ed incentiva la
massima diffusione e distribuzione della proprietà
secondo i meriti e le
capacità di ciascuno.
E’
profondamente contrario alla finanziarizzazione dell’economia,
mettendo
il lavoro e non la speculazione finanziaria al centro del sistema
produttivo.
E’
per un denaro che nasca di proprietà dei cittadini e della comunità,
direttamente od attraverso lo Stato,
e non venga invece emesso
dall’oligarchia finanziaria,
come debito verso Stati e cittadini, come
succede oggi.
E’
per un mercato che sia davvero libero
dai monopoli delle grandi
concentrazioni industriali-finanziarie
e che consenta il massimo
sviluppo dell’iniziativa individuale e sociale.
Il
Distributismo si ispira ai valori della Dottrina Sociale della Chiesa
ma non è in alcun modo un sistema confessionale
e si rivolge a tutti gli
uomini di buona volontà,
indipendentemente dal loro colore politico o
religioso.
Riteniamo
pertanto che, nel desolante panorama dello scenario politico attuale,
privo di proposte serie e consistenti,
il Distributismo possa dare un
contributo significativo
per risolvere i tanti e gravi problemi che
assillano la vita del cittadino medio
- a cominciare dalle tasse esose,
dalla perenne instabilità economica,
dal debito pubblico e dalla cronica
perdita di potere d’acquisto dei salari -
superando le sterili
contrapposizioni ideologiche tra destra e sinistra
e proponendo
soluzioni concrete che intercettino i bisogni fondamentali dei
cittadini:
poter guardare al lavoro come ad un mezzo di realizzazione
individuale e sociale,
non essere più schiavi del denaro ma utilizzare
il denaro
per far fruttare le proprie potenzialità personali,
avere
tempo libero da dedicare ai propri interessi culturali
ed ai rapporti
familiari ed amicali.
Non si tratta di un’utopia
ma di rimettere il senso comune e la retta ragione al centro dell’azione politica.
(tratto da "cooperator-Veritatis")
Il distributismo e la crisi economica
Intervista a John Medaille su come creare un mercato veramente libero
di Annamarie Adkins
IRVING
(Texas) martedì, 5 ottobre 2010 (ZENIT.org).
In un periodo in cui le
misure di salvataggio delle imprese si sono rivelate un flop, in cui la
classe dirigente sembra confusa, mentre la crisi economica non dà segni
di regredire, la gente cerca delle alternative rispetto alla saggezza
convenzionale.
L’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”
è stata come una manna per il cosiddetto movimento economico
alternativo, e almeno una delle teorie economiche derivate dalle
encicliche sociali, quella del distributismo, sta riscuotendo un certo
interesse.
Ma molti sono scettici e considerano il distributismo
meramente come una specie di agrarianismo romantico, o peggio ancora,
solo come un approccio estetico privo di possibili applicazioni
pratiche.
John Medaille, uno dei preminenti neo-distributisti, ha
cercato di rispondere a queste critiche. Il risultato è un manifesto
distributista intitolato “
Toward a Truly Free Market: A Distributist
Perspective on the Role of Government, Taxes, Health Care, Deficits, and
More” (
ISI), che non poteva essere più puntuale, mentre i governi in tutto il mondo lottano contro la crisi sociale e fiscale.
Medaille , co-redattore di
The Distributist Review,
che pubblica su Internet, nonché docente aggiunto dell’Università di
Dallas, ha spiegato a ZENIT cosa manchi all’attuale teoria economica e
perché il distributismo meriti un rinnovato apprezzamento.
Il
suo libro inizia esaminando gli assunti fondamentali di ciò che
generalmente viene chiamata “economia”. Quali sono questi assunti? Sono
questi la causa dell’attuale crisi economica globale?Medaille:
I due assunti principali dell’economia di oggi – peraltro entrambi
errati – sono che l’economia sia una scienza fisica anziché una scienza
umana, e che come tale non ha nulla a che vedere con le questioni
etiche.
Sin dalla fine del XIX secolo, l’economia ha cercato di
contrapporsi alla giustizia, soprattutto alla giustizia distributiva, ma
così facendo ha perso la capacità di descrivere in modo accurato ogni
economia di oggi. Quindi non dovrebbe sorprendere che il 90% degli
economisti non si sono accorti dei segnali dell’imminente crollo.
Lo stesso è vero per la precedente crisi e per quella ancora precedente, ecc.
Non
è possibile prevedere in modo attendibile lo svolgimento di un sistema,
se non si è in grado di descriverlo in modo adeguato.
Il
distributismo, d’altra parte, asserisce che la giustizia non sia solo un
problema morale, ma anche un problema pratico ed economico, e che senza
la giustizia economica non è possibile raggiungere l’equilibrio. Quando
l’economia si separa dalla giustizia, il governo è costantemente
pressato ad intervenire per assicurare stabilità, sebbene gli interventi
possano essere efficaci solo nel breve periodo.
Noi abbiamo
abbandonato la giustizia su scala globale e questo ha portato a un
commercio cronicamente squilibrato. Quando gli scambi sono cronicamente
squilibrati non è un vero commercio. Si tratta piuttosto di un sistema
in cui i produttori esteri finanziano il nostro consumo dei loro beni,
un sistema che impoverisce entrambe le parti.
La maggior parte
delle persone crede che la battaglia per l’anima del capitalismo si
giochi tra i seguaci di Keynes e i seguaci di Hayek. Secondo lei,
invece, entrambe le teorie portano a ciò che Hilaire Belloc ha definito
lo “Stato servile”. Perché? Cosa non hanno capito gli altri?Medaille:
Il capitalismo e il socialismo in realtà non sono teorie opposte; l’una
è la continuazione dell’altra, mentre il distributismo si oppone ad
entrambe: è il libero mercato.
Il capitalismo tende a concentrare
la proprietà nelle mani di pochi, strozzando così il mercato, e il
socialismo prosegue quest’azione concentrando la proprietà nelle mani
dello Stato. In pratica entrambi i sistemi finiscono per controllare le
più importanti risorse della nazione nelle mani di pochi burocrati –
über-manager – che rappresentano gli interessi dei proprietari nominali,
siano essi gli azionisti o il popolo in generale, che tuttavia
controllano queste risorse in funzione del proprio bene.
Inoltre,
nel concentrare il potere economico essi concentrano anche il potere
politico e le grandi società riescono ad ottenere grandi privilegi e
sussidi per se stesse, come abbiamo visto durante la crisi. Quindi, tra
l’elefantismo statale e l’elefantismo del settore privato, l’individuo è
ridotto a uno stato servile.
Ciò che manca sia al capitalismo
che al socialismo è la volontà di ammettere che alla proprietà consegue
il potere. Entrambi i sistemi affermano di creare libertà attraverso la
concentrazione del capitale, ma poiché questo provoca anche la
concentrazione del potere, la massa della gente rimane priva di potere.
D’altra
parte, il distributismo cerca di costruire una società basata sulla
proprietà di uomini e donne liberi e consapevoli dei propri diritti, e
dotati degli strumenti per difendersi dalle tendenze accentratrici sia
dello statalismo sia del corporativismo.
Cos’è dunque il
distributismo? La differenza tra capitalismo e socialismo non riguarda
solo la redistribuzione o la suddivisione? Come può questa teoria, che
si fonda comunque su un certo grado di intervento dello Stato, creare un
mercato veramente “libero”? Medaille: In effetti non è tanto una questione di cosa lo Stato debba fare, ma di cosa debba non fare.
L’accumulazione
della proprietà solitamente dipende dal potere pubblico: maggiore è la
quantità di capitale, maggiore sarà lo spessore delle mura statali
necessarie a proteggerlo.
Esistono certamente cose positive che
lo Stato può fare, per esempio con la politica fiscale o semplicemente
facendo rispettare le sue leggi contro il monopolio e l’oligopolio. E vi
sono casi in cui persino il titolo alla proprietà terriera o di altre
risorse è questionabile.
Ma in generale, una società distributiva
richiede uno Stato più snello, con poteri che siano opportunamente
distribuiti su tutti i livelli della società.
Contrariamente ai
sistemi di concentrazione del potere economico e politico, quello
distributista si fonda su una varietà di forme di piccola proprietà al
fine di distribuire il potere: singoli proprietari per possedimenti che
possono essere usati e gestiti facilmente da una persona o famiglia,
cooperative per imprese più grandi, proprietà pubbliche locali per
risorse come l’acqua o i sistemi fognari, azionariato dei dipendenti nei
casi appropriati, e così via.
In questo modo, sia il potere
economico che quello politico viene distribuito su tutti i livelli della
società. Esistono in realtà solo due possibilità riguardo alla
proprietà e al potere: concentrazione o distribuzione.
La prima porta al servilismo, la seconda alla libertà.
Come si configura una società distribuista? Esiste qualche esempio nel mondo?Medaille:
Ottima domanda! Quando parliamo di sistemi economici, è sempre bene non
affidarsi esclusivamente alla teorizzazione astratta, ma fare
riferimento a sistemi concreti e funzionanti.
Per esempio, il
capitalismo puro, come il comunismo puro (al di là del contesto
monastico) non hanno mai funzionato e non esistono esempi attuali. Il
capitalismo è sempre stato imposto e sostenuto dal potere statale,
mentre il socialismo ha sempre dovuto consentire un certo grado di
libertà di mercato per poter funzionare.
Il distributismo,
invece, può mostrare l’esempio di diversi modelli di lavoro, sia di
grandi che di piccole dimensioni. Esiste la Mondragón Cooperative
Corporation, in Spagna, la cui proprietà è distribuita tra 100.000
dipendenti e che fattura 25 miliardi di dollari (19 miliardi di euro);
esiste la realtà cooperativa della regione Emilia-Romagna, in cui il 40%
del PIL deriva dalle cooperative; esistono migliaia di piani di
azionariato dei dipendenti (ESOP), di cooperative, società di mutua
assicurazione e cooperative finanziarie.
La verità storica è che
il distributismo passa da un successo all’altro, mentre il capitalismo
inciampa su un salvataggio dopo l’altro.
Ciò che è
particolarmente interessante è che una società distributista come
Mondragón è stata in grado di fornire la propria rete di sicurezza
sociale, sistemi scolastici, istituti di formazione, centri di ricerca e
sviluppo, e di università, tutto con i propri fondi e senza sussidi
statali.
Si tratta di una realtà molto più vicina all’ideale liberale, rispetto a quanto sia stato prodotto da qualunque laissez-faire.
Offrendo
soluzioni pratiche per i gravi problemi economici di oggi, il suo libro
cerca di rispondere ai numerosi critici del distributismo che lo
ignorano per la sua supposta impraticabilità o il suo neograrianismo.
Quali sono i principi fondamentali o gli elementi costruttivi che un
distributista usa per confrontare ed elaborare politiche alternative?Medaille: I principi fondamentali del distributismo sono la sussidiarietà e la solidarietà.
Per
sussidiarietà intendiamo che i più bassi livelli della società, a
partire dalla famiglia, sono quelli più importanti e quelli in cui deve
risiedere il maggior grado possibile di autorità decisionale e di
potere. I livelli più alti si giustificano solo per l’aiuto che riescono
a dare a quelli inferiori.
La solidarietà implica che ogni decisione politica debba tenere a mente i più poveri e i più vulnerabili membri della società.
La
sussidiarietà è difficile da realizzare in una situazione di
accentramento del potere; solo attraverso la diffusione del potere
economico e politico (e questi sono solo due diversi aspetti del
medesimo potere) è possibile per le comunità locali e le famiglie di
prosperare.
Il distributismo ha delle basi nella dottrina sociale cattolica o nelle encicliche come la recente “Caritas in veritate”?Medaille: La
sussidiarietà e la solidarietà derivano, ovviamente, direttamente dalle
encicliche sociali e il distributismo deve molto ai loro ideatori
cattolici come G. K. Chesterton e Hilaire Belloc.
Detto questo,
l’ordine sociale distributista non dipende da un propedeutico ordine
sociale cattolico. Tuttavia, riteniamo che un tale ordine sociale
gioverebbe molto da un sistema distributista.
Ci può
riassumere brevemente la soluzione distributista all’apparentemente
irrisolvibile problema dell’assicurare al maggior numero possibile di
persone un’assistenza sanitaria adeguata?
Medaille: Il nostro
Paese ha appena attraversato un dibattito piuttosto avvelenato su
questo argomento, in cui si è discusso di una artificiosa distinzione
tra sistema socialista e sistema di mercato, mentre la vera questione è
rimasta completamente all’oscuro.
La realtà è che nell’assistenza
sanitaria questa distinzione non esiste. Lo Stato già paga il 45% dei
costi sanitari complessivi, mentre il mercato “privato” è di fatto
dominato da monopoli tutelati dallo Stato attraverso autorizzazioni,
licenze e certificazioni per la costruzione di nuove strutture
sanitarie.
L’evidenza dell’esistenza di un mercato monopolistico
è dato dal costante aumento dei prezzi, anche in presenza di una
riduzione dei servizi, e questa è la realtà del nostro settore
sanitario.
Ora, il distributismo non avrebbe grande utilità se
non fosse in grado di risolvere problemi concreti come questo, ma lo può
fare.
In breve, nel libro propongo un’espansione delle autorità
autorizzatrici, per aumentare l’offerta di personale sanitario; propongo
un modo per espandere la ricerca e lo sviluppo senza ricorrere a forme
monopolistiche; propongo inoltre la formazione di cooperative di medici
e di altro personale in grado di servire sia come società di
“assicurazione” sia come ditte sanitarie in cui venga assicurata la
salute oltre ad affrontare semplicemente la malattia.
Certamente
il libro entra molto nel dettaglio su questi aspetti, ma – sì – il
distributismo offre una nuova via per molti dei più pressanti problemi.
(tratto da "Zenit")